Oskar: «Vi racconto di quando Ezio Bosso era un mod e suonava con gli Statuto»
by Mauro TomelliOscar Giammarinaro, detto Oskar, leader del gruppo torinese, ripercorre la storia della cultura mod e della propria band, di cui fece parte in origine anche il grande compositore scomparso di recente. Dagli esordi della loro amicizia fino agli incontri più recenti, segnati sempre da un profondo affetto: ecco il suo racconto
Il modernismo, il Toro, la musica ska, piazza Statuto e gli Statuto. Questa era la Torino di Ezio Bosso, la città dove è nato e cresciuto il grande compositore italiano scomparso il 15 maggio scorso e a cui è dedicato il nuovo numero di Vanity Fair diretto dal regista Paolo Sorrentino. Bosso, per gli amici Xico, ha iniziato la sua carriera da musicista nella band mod più famosa d’Italia, gli Statuto, diventati celebri per il grande pubblico quando parteciparono al Festival di Sanremo nel 1992 con il pezzo Abbiamo vinto il festival di Sanremo. Abbiamo fatto una chiacchierata con Oscar Giammarinaro, detto Oskar, leader della band e grande amico del compositore.
Quando è nata l’amicizia fra te ed Ezio?
«Eravamo compagni al Conservatorio. Io studiavo contrabbasso al Conservatorio Giuseppe Verdi di Torino e quando ero al quarto anno avevo conosciuto Ezio che faceva le scuole medie. Anche lui studiava contrabbasso. Ricordo che aveva subito manifestato interesse per la musica che ascoltavamo, al nostro modo di vestire e al movimento. Così anche lui aveva cominciato all’epoca a frequentare la nostra piazza, Piazza Statuto. Ezio abbracciò subito l’essere mod e quando con gli Statuto io decisi di non suonare più il basso ma solo di cantare, lui si propose di suonarlo e rimase nella band per circa due anni. Registrò con la band il nostro primo disco, Vacanze, del 1988. Poi però lasciò il conservatorio perché ebbe dei problemi con un maestro e decise di studiare altrove, prima in Francia e poi in Austria. Questo lo aveva allontanato inevitabilmente dalla band e devette smettere di farne parte. Ezio ha sempre viaggiato parecchio, prima per studio poi per i suoi numerosi impegni professionali. Ha vissuto in Inghilterra e nell’ultimo periodo a Bologna, ma quando tornava a Torino non c’era volta che non ci rivedessimo».
Com’era Torino in quel periodo, sul finire degli anni Ottanta?
«Era una città che girava inevitabilmente attorno alla Fiat visto che ospitava tantissimi operai ed impiegati che ci lavoravano. Era una città dormitorio che accompagnava lo scandire dell’azienda. Onestamente non è che sia particolarmente cambiata, anche se la presenza dell’azienda si è molto ridotta a livello logistico e pratico ma non certo quanto quello politico e sociale. Sono i ritmi della città che sono cambiati. All’epoca gli spazi culturali bisognava conquistarli e noi come mod siamo stati sempre molto attivi, organizzando concerti, facendo giri in scooter per la città e fuori, organizzando raduni, insomma facendo di tutto per promuovere il movimento. Xico era sempre presente con la sua vespa 125 in tutte le nostre attività. Era sempre molto entusiasta e coinvolto».
Quando hai sposato il movimento mod?
«Da adolescente. Ho scoperto la cultura mod quando ho iniziato ad ascoltare gruppi come i Madness, gli Specials e tutti le band del movimento ska degli anni Settanta. Poi, quando uscì Quadrophenia (film del 1980 che aveva come protagonisti un gruppo di amici mod inglesi e ne descriveva la vita e la cultura, ndr) ho veramente approfondito e sposato quella cultura. In seguito, a diciassette anni, nell’82, cominciai a frequentare piazza Statuto, la piazza dei mod di Torino».
Quando si sono formati gli Statuto?
«Nel 1983. Eravamo tutti ragazzi che frequentavamo la piazza. Avevo conosciuto un bravo chitarrista, Dario, mentre io suonavo il contrabbasso. Il batterista era Pino, che di giorno faceva il salumiere, e con lui avevamo iniziato a fare i primi concerti. Avevamo tante lacune tecniche ma anche tanta voglia e passione di fare musica».
Anche Ezio Bosso era già frequentatore della piazza all’epoca dei primi passi della band?
«Beh no, lui era ancora troppo giovane. Iniziò a frequentare piazza Statuto, diciamo, nell’85. Come ti dicevo, nel momento in cui cercavamo un bassista lui si era proposto subito. Aveva tanta passione per la musica, ma nulla a quell’età ovviamente faceva ancora presagire il personaggio che sarebbe diventato, prima all’estero che in Italia».
Nonostante la lontananza, siete sempre rimasti in contatto?
«Siamo sempre stati molto legati. Per vari motivi, anche personali. Da ragazzi quando tornava a Torino spesso veniva a dormire da me, se aveva bisogno gli prestavo gli strumenti per comporre. Poi quando la sua vita artistica è decollata, soprattutto all’estero, c’erano sempre meno occasioni per rivederci; era molto impegnato ed era un’autentico giramondo. Con la comparsa della malattia è stato ancora più difficile poterci incontrare, ma siamo sempre rimasti in contatto. Riguardo la malattia ti posso dire che lui non ne ha mai fatto un problema. Era un ragazzo molto determinato ma anche poco condiscendente, era molto disponibile ma che poco propenso a scendere a compromessi».
Veniva a vedere i concerti degli Statuto?
«Mi ricordo che era venuto ad un nostro concerto a Bologna ma anche vicino a Cuneo, se non sbaglio verso il 2003. Mi ricordo che aveva appena finito di comporre la colonna sonora del film di Salvatores (Io non ho paura, ndr). Poi, nel marzo del 2013 era venuto apposta da Londra per la presentazione del disco per il nostro trentennale di attività, Un giorno di festa. In seguito partecipò ad un nostro concerto all’Hiroshima Mon Amour di Torino, durante il quale Ezio salì sul palco a suonare “Non Sperarci”, un brano che avevamo composto nel periodo in cui lui suonava con noi. Brano che Ezio aveva registrato in una versione riarrangiata con un quartetto d’archi e che avevamo inserito in Un giorno di festa».
Anche lui, come voi, era grande tifoso del Torino?
«Certo! Come tutti i mod di piazza Statuto era grande tifoso del Toro e veniva spesso a vedere le partite con noi, in curva Maratona, nel vecchio Comunale».
Secondo te gli Statuto sono stati degli apripista per un certo di corrente musicale in Italia?
«Noi siamo nati come gruppo Mods con tutto quello che comporta la cultura del movimento. Lo siamo stati e lo saremo sempre fino a quando smetteremo di suonare. Siamo stati tra i primi a rappresentare questo movimento in Italia, questo è certo. All’inizio suonavamo in italiano i brani delle nostre band preferite, come i Madness o gli Specials, gruppi che hanno fatto la storia dello ska. Ma gli Statuto non sono mai stati un gruppo ska; le nostre influenze andavano dal primo R’n’B degli anni Cinquanta ai suoni più elettrici come il britpop inglese della prima metà degli anni Novanta dei Blur e gli Oasis, poi tutta la produzione di Paul Weller fino ad arrivare alle cose più recenti come i Kasabians. Anche la musica italiana ci ha sempre ispirato: uno tra tutti è Ron, di cui sono un grande fan. Lo ska ebbe un ottimo successo sul finire degli anni Ottanta e successivamente ci fu un’altra ondata nel 2001 grazie a ciò che veniva dall’America».
Gli Statuto e Sanremo. Come avete vissuto quel momento di esplosione mediatica?
«Quando partecipammo al festival suonavamo insieme già da nove anni e avevamo già pubblicato due album. Sicuramente il festival ci aveva esposto al grande pubblico, abituato ad ascoltare altre cose. Siamo stati in classifica per due mesi e da allora siamo riusciti a vivere con la nostra musica. Questo non vuol dire certo che abbiamo cambiato il nostro stile di vita. Ovviamente non siamo mai diventati delle rockstar ma ci siamo sempre sentiti dei privilegiati, perché non abbiamo mai smesso di fare concerti e produrre dischi. Tieni presente che il nostro obiettivo è sempre stato quello di far conoscere alla gente la cultura mod su larga scala e riuscirci ci ha sempre reso orgogliosi».
Secondo te un grande compositore come Ezio Bosso resterà per sempre?
«La storia ci dirà che Ezio Bosso è stato in termini assoluti il compositore più importante degli ultimi vent’anni. Ha scritto quattro sinfonie che hanno un’ampiezza di un’importanza assoluta. Il suo lavoro più conosciuto è stato quello degli ultimi quindici anni. Con la malattia poi ha avuto una vera esplosione di creatività. Mancherà molto. L’anno scorso scrissi una canzone che ho regalato a lui per il suo compleanno, come solista e non con la band. Volevo presentarla a Sanremo ma poi avevo deciso di rinviare la mia candidatura. Ezio però mi aveva promesso che, se mi avessero preso la canzone quando avrei deciso di presentarla, mi avrebbe fatto volentieri l’arrangiamento. A questo punto non so se la presenterò in futuro».
Come si chiama questa canzone?
«La musica magica».
State lavorando a nuovi progetti musicali?
«Guarda, ironia della sorte siamo usciti quest’inverno con un singolo, la cover degli Specials “Ghost Town” con la partecipazione di Zulù dei 99 Posse e prodotta da Madasky degli Africa United: parla della situazione dei locali per la musica dal vivo, degli spazi culturali nelle grandi città italiane che stanno poco a poco chiudendo tutti. L’abbiamo pubblicato solo come video a febbraio, appena prima del lockdown, e purtroppo è stato un presagio sinistro. Avevamo un tour da iniziare quest’estate che ovviamente non si farà. Ma come non mai in questo periodo l’importate è la salute. Speriamo di sconfiggere il coronavirus il prima possibile e ricominciare ad andare tutti insieme ai concerti».