Quelle “piccole” e “autarchiche” aziende del farmaco italiane 

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- Gentile Direttore,
il Sistema Salute di un paese dipende prima di tutto dalle risorse che si investono; certamente dalle persone coinvolte, dalle strutture disponibili e dal tipo di organizzazione scelta; ma anche dal sistema industriale in grado di assicurare prodotti e servizi di qualità e quantità in tempi adeguati.
 
La revisione/rivisitazione di questo Sistema, da tutti richiesta, dovrà riguardare il suo interno ma anche i suoi rapporti con l’esterno e cioè con quel sistema industriale in grado di rispondere a queste caratteristiche.
 
Attenuandosi la pandemia in corso, sarà certamente necessario rivedere/ricostruire molto del nostro sistema industriale ma non è altrettanto certo se il modello di ieri rimarrà tale e quale. Chi ritiene che il modello di “ieri”, frutto di troppa globalizzazione, avrà un colpo quasi mortale, certamente
esagera ma sicuramente, in particolare nelle filiere che trattano prodotti essenziali, si realizzeranno modelli necessariamente più autarchici.
 
Cioè, in relazione alla necessità di non poter rinunciare a disporre di alcuni prodotti, ancor più se in tempi brevi, dovranno realizzarsi/consolidarsi sistemi più vicini alle comunità che li richiedono.

 
Tra le filiere che dovranno rispondere a questo modello c’è senz’altro quella che deve fornire i prodotti al Sistema Salute e non c’è dubbio che tra queste è di particolare importanza il sistema industriale del farmaco.
 
Durante questa pandemia si è giustamente parlato molto dei vaccini e più in generale degli attuali o futuri “farmaci della grande ricerca”.
Non è certo il modello autarchico sopra richiamato quello che può essere pensato per questi prodotti: questi continueranno ad essere pensati, sviluppati e prodotti “nel mondo” (e in alcuni casi anche nel nostro paese).
 
Fortunatamente però i pazienti che, per le loro importanti patologie o per situazioni estreme come le attuali, necessitano di questi farmaci sono numericamente molto meno di quelli che quotidianamente necessitano degli “altri farmaci”, che poi sono utilizzati quasi sempre anche dai primi.
 
Troppo poco durante questa pandemia si è parlato di questi farmaci che i pazienti utilizzano con continuità e che anche in questo frangente sono stati utilizzati a casa, in ospedale, nelle terapie intensive. (Vale la pena precisare che questa suddivisione tra farmaci della grande ricerca e altri farmaci, è una eccessiva semplificazione perché anche per gli altri farmaci c’è spesso una ricerca e uno sviluppo … e comunque il confine non è mai così netto).
 
Le aziende che nel nostro paese questi farmaci li rendono disponibili, hanno continuato la loro attività anche in questo particolare periodo fornendo ai pazienti i farmaci che sempre utilizzano e agli ospedali quella smisurata necessità di prodotti che la pandemia ha richiesto.
 
Le carenze di questi farmaci, diversamente da altri supporti per la Salute sono state, proprio grazie a queste aziende e ai loro siti produttivi, praticamente zero. È giusta la considerazione che si deve avere nei confronti dei farmaci della grande ricerca e delle aziende che li sviluppano ma sarebbe sbagliato non porre attenzione a quelle aziende che questi altri farmaci sviluppano, mantengono, spesso producono e che sono alla base del modello industriale farmaceutico del nostro paese.
 
Purtroppo però nel nostro paese sono anni che è nata una corrente di pensiero per cui il denaro che deve servire per finanziare i prodotti della grande ricerca (quando va bene!!) si deve anche trovare “mettendo le mani” su quel sistema di aziende, in gran parte “basato” in Italia, impegnate proprio negli altri prodotti. (Si veda per questo anche l’ultima proposta governativa, poi non realizzatasi, di condizionare/legare il giusto trasferimento di fondi non utilizzati nella spesa per farmaci “in farmacia” al fondo per i “farmaci ospedalieri” ad una ristrutturazione del Prontuario Terapeutico, con l’unico vero obiettivo di ridurre la spesa per questi altri farmaci, cosa che procurerebbe conseguenze molto serie sulla stessa vita delle aziende che li forniscono).
 
La grande ricerca deve giustamente essere remunerata, ma non così. Questa corrente di pensiero è un errore non per le aziende ma per il paese. E anche questa pandemia ha contribuito a farlo capire se si considera l’importanza di avere avuto nel nostro paese in questo periodo questo modello di industria farmaceutica composto da aziende più grandi, molto spesso medie e in qualche caso anche piccole che di questi altri farmaci sono i grandi fornitori.
 
D’altra parte questo è proprio quel modello industriale che ultimamente anche la Commissione Europea ha invocato doversi realizzare di più nella Comunità e che anche il Governo di Germania ha deciso di salvaguardare nel proprio paese.
 
Cosa ci fa concludere tutto ciò? Che quel modello più autarchico, che questa pandemia sta invitando a costruire, mentre per tanti altri prodotti di Salute deve forse essere creato/ricreato, per il farmaco non abbiamo in Italia alcun bisogno di invocarlo: nel nostro paese questo modello industriale relativamente indipendente già c’è e funziona.
 
E, oltre a portare Salute, non necessita di particolari sostegni economici, occupa personale qualificato, partecipa all’export nazionale, produce quel PIL del quale il paese ha tanto bisogno.
 
Questo sistema industriale il paese deve sostenerlo, integrarlo, non certo indebolirlo. Con un auspicio: che la corrente di pensiero prima richiamata, dopo la pandemia perda del tutto la sua forza!!
 
Emilio Stefanelli
Gruppo Farmaceutico SAVIO