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Ungheria, l’asse di Orbán con Pechino per l’alta velocità Budapest-Belgrado

Mercoledì scorso il parlamento ungherese ha approvato un accordo economico con la Cina per il primo, vero progetto ferroviario cinese all’interno dell’Unione Europea

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Tira su i muri contro i migranti, e intanto apre alle ferrovie dei cinesi. Impone trasparenza sui passaporti di chi vuole cambiare sesso, e nel frattempo pone il segreto di Stato sui suoi contratti internazionali. I paradossi dell’Ungheria orbanizzata hanno smesso di stupire. Ma lo scorso martedì, il Parlamento ungherese s’è superato.

Mentre i deputati erano chiamati ad approvare i soliti provvedimenti del governo di Viktor Orbán che tanto indignano parte dell’Occidente, come le ennesime annunciate misure di sicurezza alle frontiere o lo scontato divieto del cambio di sesso sui documenti d’identità delle persone transgender, zitto zitto è passato ai voti anche altro. Un ben più concreto accordo economico con la Cina: la nuova linea ad alta velocità che collegherà Budapest con la capitale della Serbia, Belgrado. Il più grande investimento d’infrastrutture nella storia recente dell’Ungheria. Il primo, vero progetto ferroviario cinese all’interno dell’Unione Europea.

Un affare tanto delicato da convincere l’assemblea legislativa ungherese, totalmente controllata da Orbán, a secretarne tutti gli atti per dieci anni. Chiunque divulghi i dettagli dell’accordo con Pechino, ha stabilito il più sovranista dei leader europei, rischia di «minacciare la capacità dell’Ungheria d’esercitare la sua politica estera e i suoi interessi commerciali». La mozione approvata cita un interesse nazionale superiore» e la necessità di proteggere il Paese da «influenze esterne». Tradotto: chi parla di questa storia, va in galera. Binario segreto e solitario. Il silenzio sulla questione ce l’hanno imposto fin dal 2014 i cinesi, si giustificano a Budapest, e questo accadeva ben prima dello scenario creato dal Covid.

L’investimento da più di tre miliardi di euro sarà finanziato all’85 per cento con una banca controllata dal governo di Pechino, la Exim. E farà parte della famosa Via della Seta, quella che prima dell’emergenza sanitaria tanto piaceva anche al governo italiano e che il presidente Xi Jinping si sta aprendo fra l’Oriente e l’Europa: 350 km di linea ferroviaria, tempi di viaggio ridotti da nove a tre ore, il trasporto dei prodotti asiatici indirizzato con maggiore velocità verso il porto ateniese del Pireo, che è già di proprietà cinese. Un corridoio commerciale sempre più largo, un ingresso merci agevolato nel cuore dell’Europa.

La metà dei soldi ce li mette l’Ungheria, grazie al prestito di Pechino, anche se pochi capiscono il vantaggio per Budapest nel realizzare l’opera: l’interscambio con la Serbia è su cifre modeste, l’alta velocità sfiorerà solo piccoli centri abitati ungheresi, le due capitali sono già collegate su gomma da un’ottima autostrada... Ma il dubbio maggiore è proprio sul voto di martedì del Parlamento: perché tanta segretezza? Una delle ragioni sta certamente nella scelta delle ditte appaltatrici dei lavori di costruzione - le principali sono di proprietà d’un finanziatore e intimo amico dello stesso Orbán, l’oligarca Lörinc Mészáros -, pur se non bastano gli interessi interni a spiegare l’imposizione del sigillo top secret sul contratto.

Per le sue opere pubbliche, come molti Paesi Ue, negli ultimi anni Budapest ha utilizzato spesso i fondi strutturali e di coesione messi a disposizione dall’Europa: «Nulla vietava di ricorrere a questa linea di finanziamento», osserva una fonte diplomatica, tanto più che la Serbia è fra i Paesi eterni candidati all’ingresso nell’Unione. Nella preoccupazione generale europea, invece, Orbán stavolta ha deciso di legarsi mani e piedi a Pechino. Una scelta politica chiara. Rischiosa. Dai costi esorbitanti, visto che l’Ungheria s’è già indebitata con la Russia di Putin per la costruzione d’una centrale nucleare: si calcola che Budapest rimarrà a lungo esposta, verso i creditori stranieri, per una cifra che corrisponde al 10 per cento del Pil. Qualche voce dall’opposizione s’è alzata, molto flebile. Ma la ferrovia cinese ormai non la ferma più nessuno. Il silenzio è d’oro. E l’Europa, ancora una volta, scopre d’avere perso anche quest’altro treno.