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Palamara, il giudice, il politico.
Ecco la rete per pilotare le nomine

Il renziano Cosimo Ferri, al centro dei colloqui, porterà il caso intercettazioni in Parlamento

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Il «caso Palamara» approderà in Parlamento. Ce lo porterà l’onorevole renziano Cosimo Ferri, che s’era rivolto alla Corte costituzionale ritenendo violate le sue prerogative di deputato quando ha scoperto di essere stato intercettato negli incontri e nei dialoghi via chatcon il magistrato indagato per corruzione. Ferri è un giudice in aspettativa, e la Procura generale della Cassazione ha avviato anche nei suoi confronti l’azione disciplinare a causa delle trame imbastite un anno fa per pilotare dall’esterno del Consiglio superiore della magistratura la nomina del procuratore della Capitale, e altri presunti illeciti.

Lui ha sollevato davanti alla Consulta un conflitto di attribuzione tra poteri, sostenendo che le intercettazioni seppure indirette nei suoi confronti sono illegali e quindi inutilizzabili, ma i giudici costituzionali l’hanno dichiarato inammissibile: non spetta al singolo deputato rivolgersi alla Corte, bensì al presidente della Camera su mandato dell’assemblea. Dunque Ferri porrà la questione prima alla Giunta per le autorizzazioni e poi all’aula di Montecitorio, per bloccare l’utilizzo di quelle intercettazioni nel suo procedimento disciplinare.

I dialoghi registrati dalla microspia inserita nel telefono di Palamara, assieme alle chatconservate nell’apparecchio sequestrato dai pubblici ministeri di Perugia, sono l’architrave del procedimento per corruzione a carico dell’ex componente del Csm e delle azioni disciplinari connesse (sulle quali il procuratore generale Giovanni Salvi si appresta a prendere le prime decisioni, dopo aver messo al lavoro una squadra di sostituti per esaminare tutti gli atti arrivati da Perugia da pochi giorni).

Poi ci sono le relazioni e i contatti extra-giudiziari dell’ex pm, che spaziano da politici a personaggi dello sport, da esponenti degli apparati statali a personaggi dello spettacolo. Ma le conversazioni con i colleghi sono un’antologia di manovre e pratiche spartitorie, soprattutto al capitolo nomine ai vertici degli uffici giudiziari, che va persino oltre le logiche correntizie. Come dimostra proprio il tentativo del duo Ferri-Palamara di scegliere il procuratore di Roma.

Il deputato era talmente interessato alla questione che il 29 aprile 2019 scrive a Palamara (uscito dal Csm da oltre sei mesi) di aver chiamato una segreteria per sincerarsi quali documenti mancassero su uno dei candidati in lizza, per far andare avanti la pratica. E spiega: «Deve farlo il consiglio direttivo della Cassazione, da noi non passa proprio», e non si capisce a che cosa si riferisca quel «noi», visto che Ferri è un deputato.

Per due volte Palamara entra in agitazione per emendamenti che propongono di spostare l’età del pensionamento dei magistrati a 72 anni, che avrebbero fatto slittare gli avvicendamenti che gli interessavano: «Se fosse vero saltano Procure Roma e Perugia ... ne sai qualcosa??», scrive allarmato a Ferri. E ancora: «Ma è concreta? Speriamo di no. Sarebbe una sciagura».

Dei movimenti del deputato sulle nomine c’è traccia pure in un messaggio del procuratore di Firenze Giuseppe Creazzo a Palamara, nel maggio 2018, quando ancora era al Csm: «Oggi ho incontrato Cosimo Ferri che mi ha espressamente chiesto chi preferisco per il terzo aggiunto fra i due di Magistratura indipendente», vale a dire la corrente di cui Ferri è stato ed è rimasto leader. Creazzo dà una valutazione su attitudini e provenienza di uffici e conclude: «Questo è il mio pensiero, per quel che vale, nell’ovvio rispetto di ogni decisione che verrete a prendere».

Di altro tenore, invece, sembrano le indicazioni che il magistrato emiliano Gianluigi Morlini inviava al consigliere Palamara (della sua stessa corrente, Unità per la costituzione) sugli incarichi da distribuire nella sua regione: il 25 novembre 2017 gli manda un elenco di sette posti (dal presidente del tribunale di Piacenza ai procuratori di Forlì e Ferrara, passando per altri incarichi), affiancati ai nomi da piazzare e il grado di rilevanza di ogni specifica nomina: «assolutamente», «molto importante», «dobbiamo parlarne, è importante che sia nostra», lasciandogli libera scelta su alcuni: «Fai tu».

Il 17 dicembre è Palamara che chiede a Morlini: «Presidente sezione lavoro Bologna, che dici?». Risposta: «Caro Luca, come ti dicevo te lo lascerei come “scambio”: S. è Magistratura democratica storico, la V. è un’altra talebana di Md, il terzo non lo conosco».

A luglio 2918 c’è passaggio del testimone: Morlini viene eletto al Csm nelle liste di Unicost e Palamara, che ne è appena uscito, lo coinvolge negli incontri con Ferri (e Lotti, in almeno un’occasione) per l’eterodirezione della nomina del procuratore di Roma. Morlini s’è dimesso dal Consiglio lo scorso anno ed è uno degli ex consiglieri finiti sotto indagine disciplinare.

Quando sedeva al Csm, erano decine i colleghi, non solo del suo gruppo, che esigevano nomine contando sull’appoggio di Palamara, che tentava di accontentare tutti. Alla fine del 2017 l’attuale procuratore di Terni Alberto Liguori, magistrato calabrese, insiste perché venga ribaltato un voto espresso in commissione per la presidenza di una sezione del tribunale di Cosenza: «Parti subito con qualcuno di Area, poi con i laici di sinistra e i membri di diritto... Fatti valere». Palamara risponde: «Fino in fondo... E sarà l’antipasto». «Così mi piaci, salutami Renzi». Ancora Palamara: «A Ciccio, li sfondo, lo sai».