Sul Corriere Salute: i guariti. Lo stigma e gli ostacoli, fisici e psichici
Raggiunto il traguardo della guarigione non sempre la vita riprende come prima. Se ne parla nell’inserto in edicola giovedì 28 maggio, gratis con il Corriere della Sera
by Monica VirgiliPubblichiamo in anteprima una parte di un articolo del nuovo «Corriere Salute». Potete leggere il testo integrale sul numero in edicola gratis giovedì 28 maggio oppure in Pdf sulla Digital Edition del «Corriere della Sera».
La malattia è superata, il paziente sta bene, tutti possono tirare un sospiro di sollievo. Di solito è così, ma talvolta c’è un’ombra a oscurare la felicità di chi è guarito dal Covid: lo stigma legato proprio alla patologia, quella strana aura di sospetto che circonda chi è stato malato e finisce per condizionare i suoi rapporti con gli altri. Non c’è niente di razionale in questo atteggiamento, anzi: chi ha affrontato e superato il virus è una persona più «sicura», a quarantena finita, ha presumibilmente sviluppato le sue difese e presumibilmente non contagia più. Eppure può capitare che venga guardato con sospetto «perché non si sa mai». Una situazione psicologicamente pesante, che si traduce in un percorso a ostacoli per tornare alla vita normale.
Non è certo la prima volta che si ha a che fare con quella sorta di lettera scarlatta della malattia, tanto che l’Oms e l’Istituto superiore di sanità (www.iss.it) hanno già fatto circolare le regole per contenere il fenomeno che potrebbe creare parecchi problemi a chi già è uscito da un’esperienza difficile e che ora rischia di dover subire anche le paure irrazionali di colleghi e vicini di casa.
Timori irrazionali
«Da sempre in situazioni simili si attivano timori ancestrali, di protezione di sé e del proprio nucleo ristretto. Si tratta di processi psicosociali atavici, come la ricerca del capro espiatorio e la caccia all’untore, che si mantengono anche in contesti contemporanei» riflette Valentina Di Mattei, psicologa clinica dell’Ospedale San Raffaele e professore associato dell’Università Vita Salute San Raffaele di Milano. «Le condizioni maggiormente a rischio di stigmatizzazione sono proprio le malattie contagiose (soprattutto se la colpa dell’infezione può essere ricondotta a un comportamento dell’individuo) ma non solo, spesso lo diventano anche le patologie terminali e degenerative o associate a evidenti sintomi fisici. Nel caso della pandemia attuale, la fonte primaria di stigma è rappresentata dall’elevato grado di contagiosità e dal numero di morti legate a questo virus».
La questione degli asintomatici
A rendere le cose più complicate c’è la confusione che molti fanno con i cosiddetti «asintomatici» (inconsapevoli di avere la malattia perché senza sintomi, che sono davvero potenzialmente contagiosi ma che non è facile identificare) e le persone in cui la malattia è stata conclamata, e di cui però sono esauriti gli effetti contagiosi. In una situazione di ansia e paura è facile che scattino meccanismi di protezione che portano all’emarginazione. Un atteggiamento che è stato notato anche negli stessi guariti che talvolta arrivano a chiudersi in una sorta di auto isolamento, nonostante abbiano avuto rassicurazioni di non poter più infettare gli altri.
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