Mike Tyson e il ritorno (a 54 anni). Da Foreman a Sugar Ray, come è andata a quei pugili rientrati sul ring dopo lunghe assenze

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Ora che Mike Tyson (classe 1966) ha annunciato il rientro sul ring, sono tante le domande. Non si sa con quale licenza (particolare non trascurabile), non si sa dove, né quando. Né tantomeno contro chi. Considerato come pura suggestione l’improbabile remake contro Evander Holyfield. Di quest’ultimo, virtualmente sul ring di Las Vegas, dal 1997 ancora «pende» quel pezzo di orecchio staccatogli a morsi dal pugile di Brooklyn. Troppo facile pensare (solo) al bisogno di soldi, a una ritrovata voglia di ribalta. E nemmeno all’accogliente milieu che si è creato attorno al pluripregiudicato ex campione del mondo dei massimi. Dopo che il suo (ondivago) amicone Donald Trump è diventato presidente degli Stati Uniti.

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C’è qualcosa di più: nella ridondanza dei suoi video a mostrarne la voglia di combattere, in quel fisico ancora compatto e minaccioso. In quella barbetta che parla di una certa brama di ripartire «non importa il passato». Forse solo voglia di sentirsi giovane. Sic et simpliciter, come ogni uomo di mezza età, che dei trentenni vuole avere l’aspetto, dei ventenni la gioia di vivere, ma si porta sulle spalle esperienze, successi e delusioni (con le conseguenti lentezze) di vite ben più lunghe. All’alba dei 54 anni Mike - che non combatte dal 2005 (ben 6 sconfitte e 2 «no contest» negli ultimi 21 incontri) - avrà certamente perso velocità ed elasticità; gli saranno rimaste la resistenza e la forza «pura» (ultima qualità ad abbandonare un pugile). La vera incognita? La motivazione. La rabbia «assassina» che, a soli 20 anni 4 mesi e 22 giorni, lo portò sul tetto del mondo; più giovane iridato della storia dei massimi (novembre 1986). La boxe racconta di tanti pugili che ritornano dopo anni. Ma vincono solo quelli che hanno «ragioni» importanti...