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E se la pandemia insegnasse al calcio a trattare meglio i tifosi da stadio?

Gli stadi desolatamente vuoti, i cartonati, gli audio registrati, stanno facendo capire (a chi ancora non l’aveva capito) quanto i fan siano parte integrante dello spettacolo. E se qualcosa cambiasse dopo il Covid?

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C’è il Covid, niente pubblico. E allora che si fa? Si usano le sagome cartonate con le facce dei tifosi per colorare un po’ le tribune desolate. Ora addirittura Sky mette l’opzione audio con i cori registrati degli ultrà. La simulazione della passione. Ma come, il futuro del calcio non era la televisione? Cosa è successo? È successo che la desolazione degli stadi vuoti, il pensiero, o meglio la prospettiva inquietante ma del tutto realistica che si debba andare avanti così a lungo, ci stanno invece facendo capire nel profondo come i tifosi sono essi stessi parte integrante dello spettacolo calcistico.

I tifosi sono il calcio. Come i calciatori, l’arbitro, il pallone. Senza tifosi, è un’altra cosa. «Non è calcio» diceva Claudio Ranieri giusto qualche giorno fa. «Nulla è più vuoto di non stadio vuoto» scriveva Eduardo Galeano. E se tutto questo servisse a qualcosa? Se la pandemia insegnasse al calcio a trattare meglio, con più rispetto, con più amore, i tifosi da stadio? Ai quali, specie in Italia, generalmente si riservano rarissime cortesie? Notturne di Coppa Italia ghiacciate, posticipi serali al lunedì, cose così.

Quante volte abbiamo dovuto prendere atto che il tifoso «da stadio» è, per il sistema calcio italiano, un cliente dichiaratamente meno importante perché meno remunerativo rispetto a quello televisivo? Chissà che tutto questo non ci insegni qualcosa. Per ora potrebbe essere solo un buon proposito, ma intanto è meglio di niente. Forse tutto poi riprenderà come prima, perché la vita è così, perché siamo così. Ma se succederà, ricordiamoci di quanto sono tristi gli stadi vuoti. E di quei cartonati con i sorrisi finti, e di quei cori registrati. Tanto tristi che è meglio il silenzio.