Parmitano grattugiato: l'astronauta dice di sapere del coronavirus da novembre!
PARMITANO GRATTUGIATO: L'ASTRONAUTA DICE DI SAPERE DEL CORONAVIRUS DA NOVEMBRE! - ''DALLO SPAZIO SEGUIVAMO I PRIMI CONTAGI. ERAVAMO AL CORRENTE DI QUESTO PROBABILE PANDEMIA ANCHE QUANDO POI INIZIO' AD ALLARGARSI IN EUROPA A MACCHIA D'OLIO'' - IL COLONNELLO, UNO CON 25 ANNI DI SERVIZIO E NON UN COMPLOTTISTA, DI FATTO CONFERMA LE INDISCREZIONI: L'INTELLIGENCE AMERICANA AVEVA AVVERTITO I PAESI ALLEATI DUE MESI PRIMA CHE LA CINA ANNUNCIASSE IL VIRUS. E INDOVINATE CHI HA LA DELEGA AI SERVIZI SEGRETI?
David Rossi per www.difesaonline.it
“…a bordo abbiamo un collegamento quotidiano con le realtà terrestri; abbiamo anche accesso alla rete internet; possiamo comunicare con i centri di controllo e già da novembre, avevamo iniziato a seguire i primi contagi, inizialmente soltanto nei paesi asiatici, poi al mio rientro i primi contagi in Europa…” (25 aprile 2020 - trasmissione Petrolio, Rai 1)
“…sulla stazione abbiamo seguito quello che stava succedendo sulla Terra: anche prima del mio rientro già da novembre eravamo al corrente di questo probabile contagio pandemico e soprattutto la gravità che si andava allargando a macchia d’occhio proprio in Europa poco prima del mio rientro” (9 maggio 2020 - TG2 storie)
Così si è espresso ben due volte nell’ultimo mese Luca Parmitano. Anzi, il colonnello Luca Parmitano, ufficiale dell’Aeronautica Militare con 25 anni di servizio e la bellezza di sei missioni spaziali alle spalle. Non parliamo di una recluta emotiva, né di un uomo a caccia di visibilità mediatica (avrebbe usato altri mezzi…), tantomeno di uno con i nervi fragili: siamo di fronte a uno dei motivi di orgoglio di questo Paese, di un militare che è stato il primo italiano ad effettuare un'attività extraveicolare il 9 luglio 2013, con 6 ore e 7 minuti di passeggiata spaziale, e il primo italiano (e il terzo europeo) al comando della Stazione Spaziale Internazionale (ISS) durante la Expedition 61. Non parliamo, quindi, di uno che confonde novembre con gennaio per ben due volte.
Ebbene, ha detto qualcosa di grosso, anzi di enorme, nel quasi totale silenzio dei media italiani.
Innanzitutto, il colonnello Parmitano per primo in Italia e con l’autorevolezza della sua persona e del suo grado, ha confermato ciò che all’estero riportano persino media mainstream1,2, cioè che l’intelligence americana avvertì gli alleati e altri governi, fra cui quello israeliano, già a novembre 2019, mentre ancora ufficialmente la Cina comunista non dichiarava alcuna epidemia da coronavirus.
Quello stesso rapporto, sicuramente già disponibile per tutti i leader prima del 28 novembre, secondo tutte le fonti avvertiva che il dilagare di una siffatta pandemia avrebbe provocato “un evento catastrofico”. Lo faceva, con dovizia di prove, molte settimane prima che il compianto dottor Li Wenliang, martire per la libertà assassinato da funzionari comunisti (in Rolls Royce) della Cina continentale, annunciasse al mondo il pericolo imminente.
Sarebbe interessante chiedere a Parmitano chi lo teneva informato: se direttamente gli USA o le autorità italiane o anche una pluralità di governi, come pare più probabile (in quanto comandante della ISS). Nelle interviste fa capire che dette informazioni circolavano normalmente fra tutti i membri della missione, anche costituita da cosmonauti russi: pare, quindi, ovvio dedurre che anche Mosca sapesse o fosse stata informata.
All’epoca, la Corea del Sud e il Giappone avevano ricevuto le stesse comunicazioni - e forse di più - e si erano adeguati perché avevano fatto le terribili esperienze della SARS e della MERS molto da vicino e, per ragioni storiche e geopolitiche, si fidano della Repubblica Popolare Cinese molto poco.
In Occidente, gli avvertimenti non sono stati ritenuti meritevoli di reazione, a parte averli fatti circolare come pare di capire, fra gli stessi governanti che poi hanno, più o meno maldestramente, gestito la crisi.
Poi, Parmitano parla di un fenomeno grave che, prima del 6 febbraio, nel nostro Continente “si andava allargando a macchia d’olio”. Si noti bene: non ha usato l’espressione “a macchia di leopardo”, cioè con tante modeste localizzazioni separate fra di loro come appariva a qualunque osservatore in quel periodo, ma a “a macchia d’olio”, cioè con la dinamica che il fenomeno davvero aveva, ma che le cronache e i ministeri della salute hanno scoperto solo nella seconda metà di marzo.
Esistono uno o più rapporti o studi dei servizi americani - o di un altro Paese che ha partecipato alla missione Expedition 61 - sull’andamento probabile del contagio da COVID-19 che non sono stati resi pubblici ma sono circolati fra le persone in posizione apicale, fra cui appunto il comandante della ISS? Se sì, ne è stato tenuto conto al momento in cui si sono impostate le prime strategie di gestione della pandemia? Francamente, pare ovvio che gli stessi servizi che avevano elaborato il primo rapporto siano, per così dire, rimasti sul pezzo, anche quando la Repubblica Popolare ha ammesso l’esistenza dell’epidemia e di averla messa sotto controllo.
Verrebbe da chiedere al Governo italiano (la delega ai servizi è nelle mani del presidente del consiglio) se una volta informato - ci rifiutiamo di credere che il premier Conte a novembre ne sapesse meno del comandante della ISS - abbia preso misure cautelative, come sottoporre a visita medica i militari che avevano partecipato ai giochi di Wuhan il 18-27 ottobre (v.articolo), appunto il territorio da cui stava dilagando un’epidemia potenzialmente catastrofica. Se sì, con quali risultati? Se no, perché?
Tante domande, tantissimi morti e un danno economico incalcolabile. Per adesso, nessuna risposta. Ma una luce si è accesa in fondo al tunnel…