Le toghe rosse di ''area'' si autoassolvono ma dai magistrati arriva la contestazione
''MI DEVONO UCCIDERE, IO NON MOLLO'' - LE FRASI DI PALAMARA NELLE INTERCETTAZIONI, RACCONTATE DA BIANCONI DEL ''CORRIERE'' (PURE LUI FINITO NEI BROGLIACCI) - GLI SMS CON IL COLLEGA SIRIGNANO: ''PEGGIO PER CHI MI SI METTE CONTRO'' - LE TOGHE ROSSE DI ''AREA'' SI AUTOASSOLVONO E PALAMARA LI APOSTROFAVA COSÌ: “SONO DEI BANDITI, VERGOGNOSI” - ''NON BASTA FARE PROCLAMI SUI VALORI, PUNTARE IL DITO CONTRO GLI ALTRI, QUANDO POI SI NASCONDE LA POLVERE SOTTO AL TAPPETO''
1. LE MIRE DELL'EX PM E LE TRAME TRA CORRENTI «IO NON MOLLO, MI DEVONO UCCIDERE»
Giovanni Bianconi per il ''Corriere della Sera''
«E secondo te io mollo? Mi devono uccidere. Peggio per chi si mette contro». Esattamente un anno fa, la mattina del 23 maggio 2019, Luca Palamara si mostrava determinato e combattivo nei messaggi inviati al suo collega (anche di corrente) Cesare Sirignano.
La commissione Incarichi direttivi del Consiglio superiore della magistratura aveva appena votato i tre candidati per la guida della Procura di Roma, e in testa risultava Marcello Viola, sostenuto dal gruppo Magistratura indipendente e candidato occulto di Palamara.
Ma la battaglia finale si sarebbe combattuta al plenum del Csm, e l' ex presidente dell' Associazione nazionale magistrati (nonché ex componente del Consiglio) affilava le armi. Soprattutto contro i togati di Area, il cartello che raduna la sinistra giudiziaria, intenzionati a ostacolare la nomina sponsorizzata da Palamara. Che li apostrofava così: «Sono dei banditi, vergognosi».
È un frammento di dialogo che aiuta a comprendere la posta in gioco per la quale l' ex pm oggi indagato per corruzione si preparava alla partita della sua vita. Svelata una settimana più tardi dal decreto di perquisizione con cui la Procura di Perugia rivelò non solo l' inchiesta a suo carico, ma pure le trame occulte con cui Palamara stava pilotando dall' esterno del Csm la nomina del nuovo procuratore della capitale, insieme ai deputati del Pd Cosimo Ferri (giudice in aspettativa ma capo riconosciuto di Magistratura indipendente) e Luca Lotti.
La scoperta di quelle manovre provocò - oltre al terremoto nel Csm, con le dimissioni di tre componenti di Mi e due di Unicost - la prima crisi all' interno dell' Anm: il governo a tre Unicost- Area-Mi- si sfaldò perché Mi fu accusata di non aver reagito con sufficiente fermezza contro i propri consiglieri coinvolti nelle «riunioni segrete notturne» col trio Palamara-Ferri-Lotti, e nacque una nuova giunta sostenuta da Area, Unicost (che invece aveva «epurato» il suo leader e i due componenti del Csm dimissionari) e i davighiani di Autonomia e indipendenza.
Un anno dopo siamo daccapo, nuova crisi. Stavolta la rottura è tra Area e Unicost, perché chiusa l' indagine a carico di Palamara sono stati depositati tutti gli atti raccolti dagli inquirenti.
Comprese le chat dei dialoghi WhatsApp contenute nel cellulare di Palamara, dal 2017 in avanti; cioè quando Palamara sedeva al Csm (fino a settembre 2018) e governava la magistratura facendo spesso accordi e alleanze con i togati di Area e i laici di centrosinistra (anche perché al fianco di Area aveva già guidato l' Anm, tra il 2008 e il 2012).
Risalgono a quel periodo le conversazioni con i colleghi della sua stessa corrente, ma anche di Area e di Mi, che svelano patti e manovre per piazzare questo o quel magistrato nei vari posti, e «fotterne» altri; spartizioni di nomine e incarichi «espressive di un malcostume diffuso di correntismo degenerato e carrierismo spinto, fino a pratiche di vera e propria clientela», per dirla con il comunicato firmato da Area. Che chiedeva prese di posizione più radicali da parte di Unicost, e da qui è nata la seconda crisi nel sindacato dei giudici. Fino all' autunno 2018, quindi, Palamara è stato un alleato della sinistra giudiziaria, e anche da questo derivano gli attacchi al leader leghista Matteo Salvini in alcune conversazioni private.
Quando a fine agosto 2018 il procuratore di Viterbo Paolo Auriemma (compagno di corrente, pure lui ex Csm) si schiera al fianco del neoministro dell' Interno finito sotto inchiesta per via dei migranti trattenuti a bordo della nave Diciotti , Palamara gli risponde: «Hai ragione, ma ora bisogna attaccarlo».
Pochi giorni dopo manda una foto dalla festa di Santa Rosalia a Viterbo all' allora presidente dell' Anm (sempre di Unicost) Francesco Minisci, e commenta: «C' è anche quella merda di Salvini, ma mi sono nascosto». Minisci risponde con un neutro «Va dappertutto». Qualche mese dopo sarà lui a finire nel mirino di Palamara, che scrive a Sirignano: «Già fottuto Minisci».
A fine settembre, terminata l' esperienza al Csm, le alleanze e gli schieramenti cambiano. Perché nel nuovo Consiglio Area non è più l' alleato per lui affidabile di prima; e soprattutto ha capito che non lo sosterrà per l' agognata poltrona di procuratore aggiunto a Roma (lasciata libera dal neo consigliere Giuseppe Cascini, da poco nominato proprio con l' appoggio dell' ex pm che in questo modo aveva preparato la staffetta).
Nasce così l' alleanza con Mi e Cosimo Ferri (già berlusconiano, ora transitato dal Pd a Italia Viva), che doveva portare alla nomina del nuovo procuratore di Roma e poi di se stesso come vice. Ma l' inchiesta per corruzione ha fatto saltare tutto. Scoperchiando un anno fa le trame extra-consiliari, e oggi il resto delle sue multiformi relazioni e opinioni.
Compresi i propositi di vendetta contro i colleghi di Area.
«Bisogna sputtanarli», gli scriveva Sirignano, che il Csm ha appena trasferito dalla Superprocura antimafia, per un' altra intercettazione in cui parlava con Palamara del suo ufficio e della nomina del nuovo procuratore di Perugia.
E lui replicava convinto: «Esatto».
2. LE TOGHE ROSSE SI DANNO L'ASSOLUZIONE MA LA BASE SI RIVOLTA CONTRO I CAPI
Giacomo Amadori per “la Verità”
Le toghe progressiste sono ferme all' hotel Champagne. Per loro ciò che è successo in un paio di dopocena in un alberghetto dietro alla stazione Termini è uno sfregio alla magistratura non paragonabile a quanto sta emergendo in queste settimane dalle chat del pm Luca Palamara. Gli incontri notturni allo Champagne di cinque consiglieri del Csm con Palamara e due parlamentari della Repubblica per discutere di nomine sono un vulnus senza confronti.
L' eterodirezione degli incarichi da parte della politica una vergogna molto più grave del suk di nomine e altre prebende che affiora dal cellulare sequestrato allo stesso Palamara. Dimenticano, però, che decine di loro restano per anni fuori ruolo con incarichi al ministero della Giustizia e che una loro esponente, Donatella Ferranti, si è preoccupata delle nomine di più di un giudice anche quando era parlamentare e presidente della commissione Giustizia.
Nei giorni scorsi avevamo scoperto che il 4 marzo 2018, in uno dei suoi ultimi giorni da deputata, la Ferranti aveva segnalato a Palamara il giudice Eugenio Turco: «Ha uno specifico interesse per presidente sezione Viterbo [] Ti manderà sms direttamente perché ha sciolto sue perplessità []», aveva digitato. Adesso abbiamo trovato l' sms che riscontra quanto scritto dalla Ferranti. È un messaggio di Turco, sempre del 4 marzo: «Carissimo (Palamara, ndr) ho visto che Roma è stata già assegnata. Ora per Viterbo sono molto interessato». Nei comunicati di Area non troviamo nessun riferimento a questa vicenda.
Evidentemente troppo Champagne toglie lucidità.
Non si leggono neanche prese di posizione chiare su consiglieri o ex consiglieri del Csm in quota Area come Valerio Fracassi, Nicola Clivio e Giuseppe Cascini (quello che cercava il biglietto gratuito dello stadio per il figlio in tribuna autorità), tutti e tre coinvolti in chat imbarazzanti con Palamara, come un altro campione delle toghe progressiste, l' attuale capo del Dap Dino Petralia.
Le loro condotte non sembrano appassionare i vertici di Area che sabato, pur censurando le «degenerazioni correntizie», hanno continuato a distinguere le vicende odierne da quelle dell' hotel Champagne («Che in nessun modo ci hanno coinvolto», hanno puntualizzato).
Ieri, nell' ennesimo comunicato, hanno ribadito che le annunciate dimissioni dalla giunta esecutiva centrale (Gec) dell' Associazione nazionale magistrati non sono un' ammissione di correità.
Anzi. Quelli che emergono dalle chat sono comportamenti esecrabili, ma «diversi da quelli che giustificano le dimissioni di componenti del Csm», hanno sottolineato.
Purtroppo per loro la corrente centrista di Unicost, che stava con Area nella Gec, ha avuto l' ardire di assimilare le vicende di un anno fa a quelle attuali e di chiedere a tutti «una seria e profonda autocritica». Un appello interpretato da Area come un segnale di cedimento rispetto alla «posizione di fermezza» assunta un anno fa di fronte alle riunioni dello Champagne.
Sul punto le toghe di sinistra non ammettono tentennamenti, nemmeno da parte degli alleati: «Per questo e solo per questo il presidente Luca Poniz e il gruppo di Area Dg (Democratica per la giustizia, ndr) si sono visti costretti a fare un passo indietro».
Ma questa attività di spaccatura del capello sta dividendo la base. Il 21 maggio l' assemblea della sezione di Reggio Calabria di Area ha registrato meno certezze: «Il senso di disorientamento e sconcerto che pervade l' animo della gran parte di noi non è sufficientemente rappresentato dal documento del coordinamento nazionale di Area». si legge in una nota.
Secondo i partecipanti «i comportamenti individuali di alcuni magistrati, anche appartenenti al gruppo di Area [] creano un problema per l' immagine di imparzialità e di trasparenza della magistratura italiana». La ricetta per tornare a essere credibili è la seguente: «Sono necessari un confronto leale, sincero e responsabile con i nostri rappresentanti al Consiglio e un' autocritica reale che, affrontando seriamente il nodo dei rapporti impropri non giustificati da motivi istituzionali, non si traduca in una scontata autoassoluzione [] è necessario che ciascun magistrato e, ancor più, chi guida i gruppi associativi adotti comportamenti responsabili e deontologicamente corretti».
Anche tre candidate di Area per il rinnovo del consiglio giudiziario del distretto di Napoli (Gabriella Nuzzi, Annalaura Alfano e Gloria Sanseverino) hanno stigmatizzato l' autoindulgenza della loro corrente e annunciato il ritiro dalla corsa per il seggio: «Dopo la diffusione, nelle ultime settimane, delle notizie su fatti inediti emersi dalle indagini della Procura di Perugia, il coordinamento nazionale di Area Dg ha emesso un comunicato auto assolutorio mentre Magistratura democratica ha scelto di restare in silenzio.
Invece, secondo noi, i fatti che stanno emergendo [...] hanno assunto dimensioni di tale gravità ed estensione da aver coinvolto anche magistrati che rappresentano la magistratura progressista».
Le tre segnalano la «degenerazione etica» di un sistema di potere che, a loro giudizio, avrebbe «contaminato anche settori» dei giudici di sinistra. Se il documento ufficiale di Area «rivendica una discontinuità» rispetto al passato, alle tre signore sembra che le vicende emerse dalle indagini e «alcune scelte recenti per importanti incarichi direttivi appaiano avvenire, al contrario, nel segno delle stesse logiche del passato».
Le magistrate condannano l' ipocrisia dei loro dirigenti: «Non basta fare proclami sui valori, puntare il dito contro gli altri, quando poi, in realtà, si nasconde la polvere sotto al tappeto nel momento in cui dovremmo, invece, farci carico della questione morale in magistratura». Una riflessione che porta all' inevitabile passo indietro: «È pertanto, con profonda amarezza, ma anche consapevoli del fatto che non possiamo rappresentare gruppi che sembrano aver smarrito la propria identità originaria, che abbiamo deciso di ritirare la nostra disponibilità a candidarci».