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Ottobre 2009, una manifestazione di precari della scuola (foto LaPresse)

L'accordo sui precari della scuola è un disastro annunciato

Il governo non espleta il concorso ordinario, rinvia quello straordinario a “dopo l'estate”, assume a tempo determinato 32 mila persone e si prepara a far aumentare le cattedre vuote, la discontinuità didattica, il disorientamento degli alunni

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Sembrano trentaduemila in più ma sono settantottomila in meno. Nascosto da dichiarazioni ai confini del trionfalistico, che si ammantano (oltre che del favore delle tenebre, dato che l’accordo è stato raggiungo nottetempo) di termini vaghi e ritriti come “meritocrazia”, “selezione”, “riduzione del precariato”, il succo del compromesso di governo sulla scuola è questo. Era in programma da tempo un concorso ordinario per l’assunzione di docenti, e non lo si è ancora espletato; si è aggiunta l’opportunità di celebrare un concorso straordinario per l’immissione in ruolo di precari, e lo si è rinviato a dopo l’estate.

Risultato, di settantottomila complessivi posti di lavoro che potevano essere messi a bando, il primo settembre non ne sarà assegnato nessuno, zero, nisba; in compenso però trentaduemila precari dovrebbero essere assunti a tempo determinato – pescando da graduatorie d’istituto faticosamente compilate nelle scorse settimane che un tocco di bacchetta magica trasformerà in graduatorie provinciali – per essere a disposizione dei presidi a inizio anno scolastico, in attesa di vedersi il posto confermato e l’assunzione trasformata in tempo indeterminato (altro tocco di bacchetta magica) con un concorso straordinario che si terrà non si sa quando, se non per la fumosa indicazione “dopo l’estate”. Un riferimento cronologico talmente sfuggente da far sospettare che sotto di esso si nasconda l’auspicio che, “dopo l’estate”, a sbrogliare la matassa sia un altro ministro o addirittura un altro governo. L’effetto concreto è che così il concorso ordinario di cui si parla da un paio d’anni subisce un altro rinvio e slitta ulteriormente: dopo l’autunno? dopo l’inverno? dopo sette equinozi?

I cinici già paragonano la prospettiva del nuovo inizio anno scolastico al caos che s’ingenerò all’epoca della famigerata “deportazione”. Ricordate? Cinque anni fa la Buona scuola, con le migliori intenzioni, ottemperò alle indicazioni dell’Europa e assunse novantamila precari dalle inesauribili graduatorie a esaurimento, sulla fiducia, senza mezza selezione o concorso; per tutta risposta, i neoassunti del sud che si trovarono di fronte all’occasione di poter lavorare a nord, causa carenza di cattedre sotto casa, dapprima imbastirono una protesta tutta imperniata sulla retorica delle deportazioni di massa (ricordo una signora che inveiva contro il governo perché la costringeva a trasferirsi a Sanremo); quindi, il primo settembre, molti di essi furono improvvisamente colpiti da una misteriosa malattia subito dopo aver preso servizio; infine, tornati a casa, poterono beneficiare dell’immediata assegnazione provvisoria su cattedre al sud, miracolosamente riapparse. Non c’è tuttavia bisogno di essere così pessimisti per presumere che a settembre assisteremo a quadriglie simili. Basta, purtroppo, essere realisti: e fare due conti per calcolare che, assumendo dalle graduatorie dei supplenti, il numero di supplenti sarà verosimilmente destinato ad aumentare ancora. E che l’ulteriore botta di provvisorietà immessa nel sistema da quest’accordo che accontenta tutti rischierà di far aumentare le cattedre vuote, la discontinuità didattica, il disorientamento degli alunni.

Ci sono anche loro, in effetti. Negli ultimi mesi si è dibattuto alla nausea sull’evenienza che la distanza snaturasse o meno la didattica e sui centimetri che sarebbero stati necessari a non contagiare i commissari interni all’esame di Stato. Si è parlato tantissimo, con vertici di mielosa retorica, degli strumenti per far pervenire i contenuti agli alunni ma non si è parlato per niente delle fonti da cui questi contenuti devono arrivare. Tutti contrari al fatto che l’insegnante faccia lezione su Zoom anziché dalla cattedra, ma tutti indifferenti al caso che l’insegnante sia bravo o meno, anzi che sia selezionato in base alla propria bravura, a riprova che ciò sembra non contare non solo per i vertici della burocrazia scolastica ma nemmeno per i fruitori, alunni e famiglie, nonché per l’opinione pubblica.

Anche il dibattito fra Cinque Stelle e Pd sulla forma in cui selezionare i precari durante il concorso straordinario s’è rivelato una finta: fra le domande a crocette (che servono solo a eliminare i manifestamente incapaci, o i più sfortunati) e la presentazione di titoli (che sappiamo benissimo possono essere accumulati a tavolino, magari con corsi online che finiscono per valere quanto un dottorato di ricerca) ha prevalso il terzo incomodo, la presentazione di un elaborato. Di che tipo? Non si sa. Quando? Dopo l’estate; prima assumiamo a tempo determinato trentaduemila precari, facciamo iniziare l’anno scolastico chissà come e lasciando non chissà quante cattedre vuote, poi li confermiamo con un concorso a posteriori. A questo punto, forse, ha ragione Christian Raimo quando dice che i ragazzi che fra un mese devono fare la maturità potrebbero cogliere la palla al balzo e dire: “Prima dateci il diploma e poi, dopo l’estate, vi portiamo una tesina”.