La ricostruzione del Paese riparta dalle risorse private per opere di pubblica utilità

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Xinhua News Agency via Getty Images

Come finanziarie la ripresa post pandemia? Come evitare che nei prossimi mesi si abbatta sull’Italia la tempesta perfetta della tre crisi concomitanti: economica, sociale e di finanza pubblica? La decisione di spegnere l’economia per fronteggiare il Covid19 ha prodotto effetti così devastanti da provocare un dibattito che da settimane impegna tutti e che è destinato a produrre effetti su tutto. La platea delle soluzioni possibile si sviluppa sia a livello europeo che “nazionale”.

Mes, Recovery fund, Bond patriottici, acquisti illimitati di titoli e decreti di ogni genere (per la cura, la liquidità e il rilancio d’Italia) affollano il confronto politico. In questa contesto, a ben vedere, una delle poche certezze è che alla fine le risorse su cui confidare per la ripresa della nostra economia sono quelle degli italiani. Può sembrare banale ricordarlo ma le assegnazioni economiche oggetto del dibattito - sia che si tratti di fondo perduto sia che si risolvano in prestiti – vedono comunque protagonista la ricchezza privata.

Questa premessa thatcheriana, in realtà mi è utile per sottolineare l’importanza decisiva, ai fini della ripartenza di un Paese stremato, dei segmenti sociali diversi dal settore pubblico: imprese, famiglie e risparmiatori. In una parola, la società e i cittadini. Come mobilitare la ricchezza privata? Come riattivare le imprese e riaccendere l’economia? Sono tra quelli che aborriscono l’idea di una patrimoniale e comunque la via della tassazione per recuperare le risorse pubbliche erogate dallo Stato (tante o poche che siano, sufficienti o insufficienti: in questo caso non voglio esaminarne la qualità o la quantità necessaria) finirebbe per dare un colpo di grazia a un sistema economico e produttivo in grave crisi di liquidità e di fatturato. Dobbiamo al contrario scommettere su una ripartenza del Pil che tragga vigore da attività economiche e investimenti volti a supportare imprese e infrastrutture: l’economia reale del Paese.

In questa logica anche l’ambito locale e territoriale può giuocare un ruolo chiave nella fase 3 dell’emergenza Covid-19. E il ruolo dei Comuni sarà decisivo, anche per svolgere in pieno quella sussidiarietà verticale che rende retorica la domanda: spesa pubblica o spesa di pubblica utilità? L’ultimo “Talk on web” promosso dalla Fondazione Ifel dell’Anci ha lanciato un tema provocatorio: “Investimenti locali, spesa pubblica o spesa di pubblica utilità”. Autorevolissimi i contributi: da Ferruccio De Bortoli a Leonardo Becchetti, da Paolo Cacciamani a Paolo Negri. Direi tutti concordi nell’auspicare l’immissione di risorse finanziarie private nel circuito dell’investimento pubblico territoriale.

E’ inevitabile immaginare una mobilitazione massiccia della società, delle famiglie, delle imprese private per sostenere la ricostruzione del dopo-guerra Covid-19. Ma allo Stato spetta di costruire un paesaggio favorevole a questa immissione di risorse, che comunque cercano almeno rassicurazione se non un inarrivabile rendimento “anni Ottanta”. Ma ci sono due condizioni perché si possa immaginare di fare ricorso all’investimento privato, indirizzandolo a opere di pubblica utilità: innanzitutto definire norme che siano poche, chiare, durevoli nel tempo. In secondo luogo al decisore pubblico e al pubblico rappresentante dei cittadini spetta la costruzione di un contesto di fiducia nei confronti del privato che investe.

E’ un cambiamento culturale radicale, che deve partire anche dal linguaggio. Ci ricordiamo bene le campagne contro lo spirito imprenditoriale, che hanno sostenuto non solo la campagna elettorale di qualche movimento attualmente alla guida del Paese, ma anche la sua esperienza di governo, quando preferiva parlare di “prenditori” piuttosto che di “imprenditori”, cullandosi sulle macerie ideologiche costruite dalla sinistra anti-capitalista che in Italia – non da oggi - ha contato molti epigoni e supporter.

Per auspicare che i 4.200 miliardi di risparmio degli italiani (di cui oltre 1400 liquidi sui conti correnti), possano diventare linfa anche per investimenti pubblici e privati, occorre poter contare su un clima che sia l’esatto contrario della diffidenza, che moltiplica ed esalta il viluppo burocratico che invischia ogni processo decisionale, brandendo le insegne della lotta alla corruzione di tipo formalistico e preventivo.

Non basta invocare la semplificazione delle norme e una riforma della burocrazia negativa e di contrasto per sperare di avviare il circolo virtuoso che porta dalla liquidità finanziaria alla ricerca di strumenti finanziari (per lo più illiquidi) di lungo periodo, che possano sostenere progetti per il futuro del Paese. A partire dalle comunità territoriali, a partire dalla tanto evocata – ma mai affrontata – crisi dell’edilizia scolastica che potrebbe essere affrontata con una collaborazione inedita tra pubblico e privato.

Perché si avveri la profezia di Giulio Sapelli, che mette in relazione “pandemia e resurrezione”, occorre un orizzonte e un clima sintonico con la volontà di fare e di agire di chi maneggia risorse private. La mobilitazione della ricchezza privata si ottiene solo mettendo mano a una riforma della tassazione che consenta di progettare investimenti. E soprattutto investimenti che coinvolgano la concretezza e la “tracciabilità” delle opere pubbliche di interesse locale.

Anche questo è un cambio di paradigma culturale. La cultura d’impresa deve diventare bene e sapere comune, in un Paese ancora ferito dall’ideologia dell’invidia sociale. Con il partenariato pubblico-privato è possibile coinvolgere la ricchezza privata solo in un contesto in cui non si parta dalla diffidenza e non si arrivi a evocare il tintinnio delle manette.

E’ il tempo dei grandi programmi. E’ il momento di proporre un grande disegno nazionale al quale tutti possano concorrere, pubblico e privato, con l’obiettivo di fare bene e di fare presto. Si è visto – pensiamo a Genova e al suo nuovo ponte – che è possibile. Vogliamo rivederlo, anche in forme diverse. Non è il momento del gioco difensivo; non è il tempo di magnificare la capacità di “tenere botta”. Covid-19 può essere l’occasione per ridare impulso e slancio a una visione più dinamica e coraggiosa della ripartenza dell’Italia.