"La riforma del Csm non basta, mandiamoli tutti a casa". Intervista a Paolo Mieli

Il giornalista e storico all'Huffpost parla del cortocircuito giudici-politici-giornalisti causato dalle chat di Palamara. "Bisognerebbe fare pulizia, qualsiasi cosa è meglio di questo verminaio". "La questione morale? Un altro modo di usare politicamente la giustizia"

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KONTROLAB via Getty Images

“Di questione morale non si può parlare se è utilizzata come mezzo per colpire gli altri. E’ un altro modo di usare politicamente la giustizia e fa più danno che altro”. E’ pacato ma estremamente duro Paolo Mieli sul cortocircuito che ha colpito magistratura, politica e giornalismo intorno agli strascichi di intercettazioni del caso Palamara che stanno uscendo in questi giorni. Un pasticcio dal quale nessuno si può ritenere assolto: “Il problema è che oggi alcuni magistrati e politici e anche qualche giornalista non hanno più nemmeno il pudore di nascondere operazioni del genere. Non c’è nemmeno più il ridicolo nel lamentarsi per non essere stato invitato a una cena”.

Se ne esce con una riforma del Consiglio superiore della magistratura?
Chi per l’ennesima volta dice che ci vuole una riforma del Csm, è come chi vuol trovare le coperture di una legge di stabilità annunciando di voler lottare contro gli evasori. E’ una frase buttata lì, ero bambino e già si parlava di grandi riforme.

Non cambierà nulla?
La gravità degli scandali di cui leggiamo in queste ore, anche se ricordiamo tutto quel che è uscito è penalmente irrilevante, è che sono una coda di cose già uscite un anno fa. C’era tutto il tempo di prendere provvedimenti, ma non sono stati presi. C’è un governo di sinistra, e non glie ne importa nulla: sanno che da almeno una trentina d’anni le cose stanno così e sanno che ci resteranno per un’altra trentina. E’ un’ipocrisia dire che qualcosa cambierà, perché il baricentro del potere è dalla parte della magistratura.

La politica e i giornalisti sono interessati a mantenere lo status quo?
Direi che politici e giornalisti non fanno una gran figura, e che non è una gran pagina di storia del giornalismo italiano. Intendiamoci, nessuno ha colpe, ma si parla di giornalisti come si parla a un servitore: “Tu devi scrivere questo, tu quello, a quel direttore ci penso io”. Considero una fortuna non apparire tra quei nomi, perché ne parlano in modo molto imbarazzante

 Si apre una questione morale anche fra i giornalisti?
Non parlerei di questione morale, siamo tutti responsabili, e sappiamo benissimo che gran parte delle notizie che arrivano dalla magistratura arrivano in questo modo, tenendo anche conto che la qualità media dei magistrati è peggiorata. Però non c’è lavoro di scavo, l’unico lavoro è farsi passare le carte. Sarebbe un po’ ipocrita parlare adesso di questione morale. Poi le cose più clamorose non mi sembrano esser venute fuori sui giornalisti.

A cosa pensa?
E’ stato imbarazzante sentire De Magistris raccontare che quando indagava Berlusconi gli facevano applausi e invece se si metteva sotto la lente qualcuno a sinistra passava i guai. Poi è enorme la cosa di Di Matteo, che racconta di un cambiamento di umore di Bonafede sulla sua nomina al Dap e Bonafede non sa dare una spiegazione, con il governo tutto a dire che è una questione normale ma di normale non ha nulla. C’è poi la questione del suo ex capo di gabinetto, e la conversazione tra Palamara e Auriemma, in cui dicono che bisogna colpire Salvini. C’è una tale quantità di casi che cavarsela dicendo facciamo la riforma del Csm è solo una finta per aspettare che passi la buriana.

Scusi ma allora come se ne esce?
Pensare di uscirne con una legge è appena un gradino sopra del dire usciamone facendo una commissione. Se uno non vuole risolvere nulla fa così, magari una bella commissione parlamentare. La prossima idea sarà lanciare una legislatura costituente. Sono modi con i quali un paese che si è perduto e che assiste a scene latinoamericane tra i magistrati prova a non uscirne. Anche perché sarà una storia infinita, e sentiremo parlare di altri casi, ma la politica continuerà a confondere le acque, facendo credere che sia una cosa qualsiasi. Pensiamo al caso Palamara, scoppiato alla fine dell’anno scorso. C’era un nuovo governo e nessuno lo voleva disturbare, per cui finì lì, ma chiunque di buonsenso non può non reagire con rossore.

Insisto: da quando la lanciò Berlinguer, mi sembra che la questione morale sia diventata un leit motiv della discussione pubblica italiana.
Berlinguer fece benissimo a lanciarla. Ma quando oggi uno la lancia contro gli altri, l’accusa contiene un difetto di denuncia. Perché è chi si ritiene puro a lanciarla contro gli impuri, ma i puri non siamo mai sicuri che siano tali. Il difetto è nel manico. Ci sono carrettate di presunti esponenti dell’antimafia siciliana che vengono beccati in atteggiamenti che vanno in direzione opposta, fino alle tante dichiarazioni esplicite di chi fa tutti i giorni un uso politico della giustizia. Fa specie che quello che gira tra i vertici della magistratura sia ancora un modo di fare che mira a colpire qualcuno per le idee politiche, che ci siano appigli di legge o meno. Di questione morale non si può parlare se è utilizzata come mezzo per colpire gli altri. E’ un altro modo di usare politicamente la giustizia e fa più danno che altro.

Messa così è un cortocircuito dal quale non se ne esce.
Facciamo un esempio. C’è una strada di Chicago dove regna la corruzione. Se io lancio una crociata pubblica contro uno dei due marciapiedi di quella strada, e lo ripulisco, sto pulendo o sto rafforzando i corrotti dell’altra metà togliendogli di torno gli avversari, sto decidendo chi deve avere più potere? Il problema è che oggi alcuni magistrati e politici e anche qualche giornalista non hanno più nemmeno il pudore di nascondere operazioni del genere. Non c’è nemmeno più il ridicolo nel lamentarsi per non essere stato invitato a una cena. Se venissero fuori conversazioni di questo tipo tra me e lei, io me ne vergognerei, gli interessati invece le rivendicano e si difendono.

Però questo è un dato di malcostume. Voglio dire, la tentazione di mettere una toppa con l’ennesima legge è forte, ma a cosa può servire?
L’unico modo è fare pulizia totale, mandarli tutti a casa. Magari anticipando l’elezione Csm, perché no, anche attraverso il sorteggio. Nei film americani se il giudice pensa che la giuria non sia serena, o non possa per qualche motivo svolgere bene il proprio lavoro, chiama la giuria della stanza accanto. Ma qualsiasi cosa è meglio di questo verminaio

In questo clima il Senato è chiamato a decidere se mandare Salvini a giudizio o meno.
Voterà a sfavore di Salvini, è ovvio. Ho tuttavia paura che il giudizio non sarà sereno, ma sia determinato dalla voglia di colpire Salvini, sia da parte dei magistrati sia da parte dei parlamentari. Le questioni della giustizia quando arrivano in politica sono determinate da molti opportunismi come abbiamo visto nel caso Bonafede. Detto questo, al governo sono attaccati con lo sputo, non possono permettersi diversamente, guardano ai sondaggi che danno la Lega in calo e pensano di avvantaggiarsene. Lo bastonano come un cane che affoga.