Milano era in piena crescita prima del virus e ora rischia il tracollo: c'e' un ammanco di 500mln e.
“SE IN ITALIA LE COSE VANNO MALE, DA NOI VANNO ANCHE PEGGIO” – TRA CONTAGI, MORTI E CONTI IN ROSSO, MILANO RISCHIA LO TSUNAMI ECONOMICO PER COLPA DEL VIRUS. LA CITTÀ ERA IN PIENA CRESCITA, STAVA DIVENTANDO UN POLO ATTRATTIVO PER TUTTA EUROPA, E ORA RISCHIA LA DEPRESSIONE – L’ASSESSORE AL BILANCIO, ROBERTO TASCA: “ABBIAMO UN AMMANCO DI 500 MILIONI E TAGLIARE LA SPESA CORRENTE VUOL DIRE FARE MACELLERIA SOCIALE”
Paolo Colonnello per “la Stampa”
Il riassunto lo fa l' assessore al Bilancio di Milano Roberto Tasca: «Se in Italia le cose vanno bene, a Milano vanno benissimo. Ma se vanno male, da noi vanno anche peggio». Dopodiché, Tasca prende in mano un foglietto con i conti della (ex) città più "smart" d' Italia e legge: «Sapendo di avere un ammanco di 500-550 milioni di euro causato da questi mesi di lockdown, che i soldi del governo promessi sono 200 milioni, cui possiamo aggiungere un avanzo del Comune di 130 milioni, tirate le somme vuol dire che ci sono 220 milioni di disavanzo». E non sono aride cifre. «E no. Perché vuol dire che devo tagliare delle spese. E tagliare la spesa corrente di Milano per recuperare questi 220 milioni vuol dire fare macelleria sociale. Politicamente insostenibile».
Sarà il sindaco Giuseppe Sala a dover battere un colpo, ma la situazione si è fatta drammatica anche per la città dove il sole, benché velato dallo smog, sembrava non dover tramontare mai.
Invece siamo già al crepuscolo e non si accendono nemmeno le luci sui Navigli. Il bilancio del Comune rischia di saltare, (solo sui trasporti la città perde 294 milioni di euro in biglietti), perdono milioni Brera, il Cenacolo, il Museo della Scienza e della Tecnologia, la Triennale; l' ordine dei notai avverte che c' è stato un crollo del mercato immobiliare del 50 per cento, ovvero l' unico mercato immobiliare ancora attivo in Italia; la fiducia dei consumatori, scrive l' ufficio studi di Assolombarda, è sceso a marzo in maniera verticale attestandosi sui livelli più bassi della primavera 2013 e, sempre a marzo, c' erano altri 121 mila occupati in meno rispetto allo stesso mese del 2019, crescono invece del 13% le ore autorizzate di Cassa integrazione.
Sintetizza il neo presidente di Assolombarda, Alessandro Spada: «A tre mesi dall' epidemia di Covid-19, l' impatto sull' economia della Lombardia è imponente con un crollo dell' attività produttiva del -35% a marzo, su base annua, e del -45% ad aprile». Nella fase due, nota, tutti gli indicatori hanno un segno negativo, lo stesso sindaco Sala prevede un raddoppio della disoccupazione in città dal 6 al 12 per cento. Insomma, un disastro.
«Una situazione ridicola» chiosa l' assessore Tasca. «Per tre motivi: Milano è patrimonialmente solida; il prossimo anno ci saranno le elezioni e ha una giunta di centrosinistra», che rispecchia la compagine governativa. La quale però sembra non rendersi ben conto dell' orlo del baratro su cui si sta avviando la città. Oppure immagina che in realtà il Nord ancora una volta ce la farà da solo.
Ma se si ferma la locomotiva economica dell' Italia, cosa può succedere? «Non è detto che vada in crisi anche il resto del Paese», risponde il professor Marco Percoco, docente di Economia del territorio in Bocconi. «Milano è certamente importante per il Paese ma io non credo sia la locomotiva d' Italia. Fino agli anni '80 era la piazza finanziaria d' Italia oggi ha perso questo ruolo perché ci si può quotare altrove, a Francoforte come a Zurigo. E quindi deve competere con altre città europee. È attraente non solo per i giovani meridionali e cominciava ad esserlo anche per gli stranieri».
Poi è arrivato il Coronavirus che ha fatto della Lombardia il centro della pandemia e di Milano la «Wuhan d' Europa». E andare in giro con questa etichetta cucita addosso, avverte Percoco «può essere un grosso problema che inceppa il meccanismo virtuoso di una città che offre davvero alle persone la possibilità di realizzarsi come in nessun altro posto». Il prof lo ammette: «Io sono un lucano che vive sul lago Maggiore, quindi ho uno sguardo disincantato verso Milano. Ma certo che se, ad esempio, non si pone uno stop a questa storia degli aperitivi, si rischia un boomerang».
Perché se Milano vuole ripartire deve offrire per lo meno degli standard elevati di sicurezza sanitaria. «E comunicarlo. Perché non avendo innovazione tecnologica da offrire, ad esempio, o una piazza finanziaria insuperabile, la città per tornare ad essere attrattiva deve compensare in qualche modo: o attraverso salari più alti e prezzi delle case più basse o con una qualità della vita ben superiore di quella attuale. Penso ai servizi pubblici, alle periferie e all' area metropolitana. Pensare di far ripartire Milano con gli interventi sulle piste ciclabili e l' aumento di monopattini, è semplicemente follia, serve solo agli abitanti del centro. Mentre ridurre il trasporto pubblico vuol dire far ricadere sulle spalle dei più poveri i costi sociali della riapertura. E questa rischia di essere una bomba ad orologeria per la coesione sociale».