Gualtieri, soldi che non arrivano e decisioni europee: quale futuro per i conti pubblici?

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Mettendo insieme le dichiarazioni del ministro Gualtieri, i soldi promessi, che in tanti casi non arrivano, ma anche le decisioni europee sul recovery fund, riusciamo a ricostruire uno scenario di elementi tra loro correlati, che consentono una precisa risposta alla domanda su una prossima, possibile patrimoniale.

Personalmente, alcuni ragionamenti mi inducono infatti a ritenere che, mettendo insieme diversi elementi, le probabilità depongano a favore di un allontanamento dell’ipotesi di imposta patrimoniale, e per una maggior stabilità dei conti pubblici.

So, con questo mio ragionamento, di andare controcorrente, soprattutto rispetto ai tanti interventi, che ritengono invece possibile una misura riconducibile ad una nuova imposta patrimoniale, o comunque un inasprimento della pressione fiscale.

Sulle prospettive dei BTP da un punto di vista tecnico, potete leggere questa mia analisi.

Ma dal punto di vista macroeconomico, proviamo a formulare un ragionamento che mette insieme diversi elementi.

E, quindi, ci domandiamo quanto segue. Gualtieri, soldi che non arrivano e decisioni europee: quale futuro per i conti pubblici?

Cosa ha detto Gualtieri?

Il ministro ha esplicitamente detto che questo esecutivo non ha in programma una patrimoniale, ma questo potrebbe significare diverse cose.

Intanto, bisogna ricordare che, se Conte rimane in carica sino alla scadenza naturale della legislatura, dovrebbe avere davanti a sé ancora un paio di finanziarie, di cui occuparsi.

Non quella del 2022, se si votasse poi in primavera.

Questo significa, ammettendo che si dica una cosa e NON se ne faccia un’altra, che né quest’anno, né il prossimo dovrebbe essere in cantiere una imposizione patrimoniale. Ma, a sua volta, tale elemento ci porta a dire che allora non è proprio prevista una imposta patrimoniale, proprio perché se non la si mette in cantiere nella situazione che maggiormente richiederebbe nuove risorse, cioè ora, a seguito del covid 19, difficilmente sarebbe messa in cantiere più in là.

Certo, questa risposta non esclude un ricorso alla patrimoniale da parte di altri governi, ma allora significherebbe che Gualtieri darebbe, forse, per scontata la caduta di quello attuale? Non lo crediamo.

Una grossa occasione di far cadere questo esecutivo è venuta meno proprio qualche giorno fa, con il voto su Bonafede, peraltro su questioni che esprimevano un effettivo dissenso nella maggioranza. Se Conte è riuscito a reggere questa onda d’urto, pur dando Renzi ragione al merito delle questioni sollevate dall’opposizione, questo pare implicare che la caduta dell’esecutivo in carica non avverrà a breve. Pertanto anche l’ipotesi: nuovo governo, imposta patrimoniale, a breve è destinata probabilmente a rimanere pura teoria.

Sotto questo profilo, quindi, le dichiarazioni del ministro Gualtieri non ci paiono confermare una ipotesi tanto temuta.

Ma ci sono altri elementi, a sostegno della nostra tesi.

Lo riconosco. All’insegna del famoso detto andreottiano: a pensare male si commette peccato, ma spesso e volentieri ci si azzecca.

Vediamo perché.

Denaro che che non arriva

Tutti i sacrosanti giorni basta accendere la televisione, la radio, o leggere qualche giornale, per aver notizia di operatori economici arrabbiati. Perché i famosi soldi promessi, non arrivano.

Ma se i soldi non arrivano, significa anche che chi doveva farli arrivare, li tiene in cassa. Ed in effetti, almeno sinora, molti dei meccanismi messi in piedi dai famosi decreti economici, a me pare che siano stati congegnati appositamente, proprio per evitare di sborsare troppo denaro.

Uno su tutti: le famose garanzie bancarie. E’ presto detto: se le banche non danno i finanziamenti, lo stato non deve garantire nulla. E sui finanziamenti accordati, i soldi che effettivamente saranno sborsati, saranno solo quelli relativi agli importi non restituiti. Quindi una frazione di quanto teoricamente finanziabile dal sistema bancario italiano.

Certo, una parte di soldi in uscita lo stato li ha stanziati, anche in considerazione della necessità di far fronte a mancati introiti delle attività economiche.

Ma non a caso spera di ottenere le relative coperture tramite una riallocazione del debito. Allungandone alcune scadenze, per un verso, e per altro verso cercando la sponda dei principali partners europei.

Lo scenario europeo

Ed ecco che entra in gioco lo scenario europeo.

E le varie pedine stanno andando al loro posto. In Europa contano soprattutto Francia e Germania. Se questi due paesi concordano su qualcosa, di solito passa a livello di decisione finale. Poi, certo, possono esserci paesi che si mettono di traverso. In questo caso, conta l’accordo tra Merkel e Macron, che dà ragione all’Italia: un recovery fund fatto soprattutto di elargizioni a fondo perduto. La contrarietà di paesi come Austria, Danimarca, Olanda, Finlandia, che comunque hanno un peso marginale in ambito europeo, probabilmente sarà superata da una Germania che li metterà in riga. Sono tutte economie fortemente dipendenti dalla Germania, che potrebbe avere non pochi argomenti di persuasione.

Comunque possiamo dire che Conte punta anche a questo tipo di sostegno europeo. E se l’idea del ritrovato asse franco-tedesco passerà, saranno probabilmente coperte, in significativa misura a fondo perduto, le risorse che l’Italia sta ricercando.

Conclusioni: nulla si può escludere a priori, ma per il momento diversi fattori, interni ed internazionali, spingono per una limitata probabilità di imposte di tipo patrimoniale. O di una politica economica restrittiva in Italia.

E probabilmente, con alcune operazioni di rimodulazione delle risorse finanziarie, sul lato delle emissioni di titoli, ed il contributo delle risorse europee, sarà possibile raggiungere gli obiettivi previsti, senza porre particolari problematiche in materia di debito pubblico.

A cura di Gian Piero Turletti, autore di “Magic Box” e “PLT