Coronavirus, i pazienti guariti poi risultati di nuovo positivi non possono infettare gli altri: ecco cosa è stato scoperto

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I pazienti che hanno contratto il Covid-19, che sono guariti e che poi sono risultati di nuovo positivi al tampone non sarebbero contagiosi. Lo ha rivelato uno studio condotto tra Korea del Sud e Singapore

Le persone che entrano in contatto col Coronavirus, rimanendone contagiate, e che poi guariscono non sono contagiose nei confronti degli altri, qualora risulti una loro nuova positività al tampone. Lo svela una ricerca condotta in Korea del Sud dagli scienziati del Centro Nazionale per le Malattie Infettive, i quali hanno esaminato la storia clinica di 285 pazienti guariti e poi risultati di nuovo positivi dopo la guarigione. In particolar modo, è stato scoperto che questi pazienti (ribattezzati pazienti re-positivi) non sono in grado di infettare perché le particelle del virus presenti in loro sono non infettive o morte.

I pazienti re-positivi non possono infettare gli altri, lo studio condotto in Korea del Sud

Buone notizie in arrivo da Oriente. Secondo delle scoperte fatte in Korea del Sud e a Singapore, i malati di Coronavirus che sono risultati nuovamente positivi dopo la loro guarigione non sarebbero infetti. La coperta è stata fatto esaminando l’evoluzione del contagio in 285 pazienti guariti: il sangue prelevato da loro aveva sì tracce del virus, m si trattava di particelle non infettive o morte.

Come riporta Il Messaggero, i test Pcr per l’acido nucleico del Coronavirus– i test che servono a diagnosticarlo- non distinguono tra particelle virali morte e attive, dando quindi un’immagine distorta del paziente ed etichettandolo comunque positivo, anche se magari ci troviamo di fronte a una persona guarita.

Questa scoperta sta un po’ rasserenando gli animi e portando a un allentamento delle misure restrittive, e soprattutto del distanziamento fisico.

I pazienti re-positivi non possono infettare gli altri, le notizie sull’immunità che arrivano d Singapore

Cosa sappiamo, invece, della presunta immunità che si raggiungerebbe dopo aver superato la malattia? Ancora molto poco. Si sospetta che gli anticorpi presenti nel sangue possano in qualche modo proteggere– per un periodo di tempo non quantificato- da un secondo contagio. Al momento, comunque, non ci sono prove concrete.

In questo senso, potrebbe essere utile fare riferimento a uno studio condotto a Singapore. Qui gli studiosi hanno dimostrato che i pazienti guariti dalla Sars o da una sindrome respiratoria acuta grave hanno, nel loro sangue, “livelli significativi di anticorpi neutralizzantida 9 a 17 anni dopo rispetto all’infezione iniziale.

Un’altra ricerca apparsa su medRxiv (ma non ancora certificata) ci parla invece di un anticorpo presente in maniera più corposa nei bambini: questo testimonierebbe che i giovanissimi possono sviluppare una difesa più forte nei confronti del Covid-19.

Maria Mento

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