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(Foto: Fabrizio Di Nucci/NurPhoto via Getty Images)

Il governo deve dare una risposta definitiva sulle autostrade, costi quel che costi

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Dopo il maxiprestito a Fca Italia l'esecutivo deve sciogliere, in modo chiaro, la faccenda delle concessioni: qualunque sia la scelta, dovrà prenderne una entro il 30 giugno e spiegarla agli italiani

Mentre Fca Italy chiede un maxiprestito da 6,3 miliardi garantito dallo Stato – ma la holding controllante con sede legale in Olanda e fiscale in Gran Bretagna si prepara a un’altra operazione maxi, quella del dividendo ai suoi azionisti, di quasi pari importo – tutti gli intrecci del capitalismo familiare italiano vengono al pettine. L’ultima è la ferita aperta delle concessioni autostradali ad Aspi, controllata da Atlantia e di cui la famiglia Benetton è principale azionista con circa il 30% delle quote tramite Sintonia e la holding operativa Edizione.

Un punto è certo: impossibile arrivare all’inaugurazione del nuovo ponte Morandi, erede del viadotto dove il 14 agosto 2018 sono morte 43 persone per un’infinita serie di negligenze e superficialità su tutti i livelli, con una situazione uguale a quella di due anni prima. Lo Stato ha il dovere di dare una risposta politica ai cittadini, oltre che alle famiglie delle vittime e alla città di Genova, su quella tragedia. Di qualsiasi tipo essa sia, assumendosene ovviamente le responsabilità. Si prosegue con i Benetton? Si rivede la concessione in profondità? Ci si lancia in un infinito contenzioso che potrebbe costare allo stato quasi 23 miliardi, la metà del decreto Rilancio? Qualunque sia la strada, è ora di imboccarne una e di spiegare perché lo Stato continuerà o meno ad abbeverare la società oppure tenterà di stringere la cinghia e salvare almeno la dignità delle sue decisioni.

La strategia del presidente del Consiglio Giuseppe Conte è invece ormai da tempo quella dell’attendismo: applicata con un certo successo anche in altre occasioni, la tecnica è sempre quella di far macerare le aspettative del Movimento 5 Stelle in un puzzle di posizioni inconciliabili così come le aperture del Pd verso una soluzione di compromesso. Che in questo caso, così almeno parrebbe dalle indiscrezioni degli ultimi mesi, punterebbe ad annacquare la compagnie azionaria di Aspi consentendo ai Benetton di ritirarsi in ordine mantenendo una quota inferiore senza svendere parte di quel 30% con cui controlla Atlantia.

Così, mentre non può opporsi alla richiesta del maxiprestito Fiat, il governo deve decidere sulle autostrade entro il 30 giugno. Secondo il decreto Milleproroghe approvato lo scorso 2 gennaio, il valore dell’indennizzo per l’eventuale revoca della concessione e del suo passaggio ad Anas è stato infatti arbitrariamente tagliato a 7 miliardi di euro. Una modifica appunto unilaterale che Aspi non ha mai accettato: ha tempo 6 mesi per farlo, proprio entro il 30 giugno, salvo poi poter restituire la concessione e chiedere appunto il ristoro dell’intero valore dell’accordo violato dallo Stato fino alla scadenza del 2038. Cioè appunto circa 23 miliardi di euro.

Nel frattempo, tanto per mandare qualche segnale – ma era inevitabile che accadesse, anche in virtù del declassamento del titolo seguente proprio al Milleproroghe di gennaio e del sostanziale stop alla circolazione autostradale legato al lockdown – Aspi ha annunciato nei giorni scorsi il blocco del piano di investimenti sulla rete da oltre 14 miliardi. Ci sono solo 900 milioni per la manutenzione ordinaria. Mossa che da molti esponenti politici, specie del M5S, è stata letta come un “ricatto” e un’ulteriore pressione con cui Atlantia chiede risposte chiare sulle sorti della concessione. Spingendo per la conferma, anche considerando che quei 14 miliardi qualcuno dovrebbe pur metterceli, sull’infrastruttura. Anas avrebbe le spalle larghe per assumersi quel peso, finanziato alla fine pur sempre dai cittadini?

Davvero un labirinto a cui si aggiunge la richiesta di accesso al credito garantito dalla Sace, cioè dallo Stato, anche per Atlantia: 1,8 miliardi. Dopo che per anni sono stati pompati via da Aspi circa 10 miliardi di euro di dividendi che sono serviti anche a operazioni cruciali per la holding, dall’aeroporto di Roma alla quota nell’Eurotunnel. Ci risiamo, insomma: mentre le holding distribuiscono, o hanno legittimamente distribuito ricchi dividendi svuotando le società operative di gestione o le filiali locali, in piena crisi i colossi delle grandi famiglie nostrane chiedono (altrettanto legittimamente, le leggi lo consentono) di accedere al credito garantito. In più, sulle autostrade, ci sono accertamenti, indagini e “ferite” legati al crollo del Morandi di due anni fa.

Ma Atlantia ha ragione a chiedere una risposta chiara e definitiva al governo. E il governo ha l’obbligo di fornirla nei tempi e possibilmente prima dell’inaugurazione in pompa magna del viadotto progettato da Renzo Piano, che rischierebbe di trasformare un’impresa ingegneriscia in un’occasione grottesca. Costi quel che costi: da un lato in termini di credibilità rispetto alle promesse del passato, alcune delle quali espresse addirittura a caldo a poche ore dal dramma del Morandi, dall’altra in termini di cause miliardarie.