Dl Rilancio. Un refuso blocca i 600 euro per gli autonomi. C’è un 78 di troppo…
by Pierluigi Roesler FranzROMA – Un banalissimo errore di stampa.
Un semplice numero inserito per sbaglio come un “intruso” in un’altra norma sta bloccando incredibilmente da una settimana le procedure per il pagamento dell’indennità una tantum esentasse di 600 euro.
E cioè l’indennità prevista dal decreto legge Rilancio n. 34 del 19 maggio 2020 (pubblicato sul Supplemento Ordinario n. 21/L alla Gazzetta Ufficiale Serie Generale n. 128 del 19 maggio 2020 (clicca qui) in favore dei lavoratori autonomi in gravi difficoltà economiche per l’emergenza Coronavirus – Covid 19.
Ma il ritardo nella correzione sta diventando un “giallo”, come se ci si trovasse di fronte ad un problema insormontabile.
E sta, purtroppo, causando un grave danno economico a 9mila giornalisti lavoratori autonomi iscritti all’INPGI 2 e ad oltre mezzo milione di liberi professionisti.
Come medici, notai, avvocati, dottori commercialisti, ragionieri, geometri, ingegneri, architetti, ecc. iscritti alle altre Casse previdenziali privatizzate.
Per risolvere questo “problemino” burocratico basterebbero solo pochi secondi e un’errata corrige sulla Gazzetta Ufficiale così come è già avvenuto per altri refusi contenuti nello stesso decreto legge.
E che sono stati già corretti con 2 distinti avvisi nella Gazzetta Ufficiale del 20 maggio scorso perché “errare humanum est” (clicca qui).
Il Sindacato Cronisti Romani, che aveva già segnalato lo stesso 20 maggio al Quirinale prima telefonicamente poi con una pec delle h. 18, 57′ 48” il refuso della data “18 maggio”, anziché “19 maggio”, riportata dopo l’art. 266 a pag. 252 in corrispondenza della firma del Capo dello Stato (refuso che è stato appunto subito corretto), ha sollecitato con una seconda pec del 22 maggio h. 13 49′ 52” l’intervento del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella affinché l’incresciosa situazione venga risolta al più presto con saggezza, equità e buon senso.
Alla base di questa imprevista “impasse” vi è un refuso contenuto nell’art. 86 del decreto legge Rilancio, pubblicato a pag. 88 della Gazzetta Ufficiale.
Questa norma, intitolata “Divieto di cumulo tra indennità”, prevede testualmente che “le indennità di cui agli articoli 84, 85, 78 e 98 non sono tra loro cumulabili e non sono cumulabili con l’indennità di cui all’art. 44 del decreto legge Cura Italia 17 marzo 2020 n. 18, convertito con modificazioni dalla legge 24 aprile 2020 n. 27.
Le suddette indennità sono cumulabili con l’assegno ordinario di invalidità di cui alla legge 12 giugno 1984 n. 222.
A sua volta l’art. 78 dello stesso decreto legge Rilancio, pubblicato a pag. 79 della Gazzetta Ufficiale, modifica in parte l’art. 44 del Decreto legge Cura Italia 17 marzo 2020 n. 18 e prevede quanto segue:
1) riconosce la stessa indennità una tantum esentasse di 600 euro pagata per il mese di marzo 2020 anche per i mesi di aprile e maggio 2020 per il sostegno del reddito dei lavoratori autonomi iscritti alle Casse previdenziali privatizzate. Per ottenerla occorre non essere titolari di contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, nè essere titolari di pensione;
2) per la domanda non è più richiesta come prima l’iscrizione in esclusiva ad una Cassa previdenziale privatizzata perché è stato abrogato l’art 34 del decreto-legge 8 aprile 2020, n. 23;
3) stanzia 1 miliardo 150 milioni di euro da parte dello Stato per fronteggiare il costo complessivo di tutti i lavoratori autonomi interessati, compresi i 9 mila giornalisti iscritti all’INPGI 2. È stato, così, modificato l’originario art. 44 del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, che prevedeva un costo per lo Stato di 300 milioni di euro;
4) prevede, per i 2 mesi di aprile e maggio 2020, un costo complessivo da parte dello Stato di 650 milioni di euro per fronteggiare il costo complessivo di tutti i lavoratori autonomi interessati. Ciò significa che il costo mensile previsto è di 325 milioni di euro e che i beneficiari dell’una tantum di aprile di 600 euro a testa sono più di mezzo milione;
5) prevede che con uno o più decreti dei ministri del Lavoro e delle Politiche Sociali e del Mef, da adottare entro 60 giorni dal 17 marzo, vengano definiti i criteri di priorità e le modalità di attribuzione dell’indennità di cui al comma 1, nonché l’eventuale quota del limite di spesa di cui al comma 1 da destinare, in via eccezionale, in considerazione della situazione di emergenza epidemiologica, al sostegno del reddito dei professionisti iscritti agli enti di diritto privato di previdenza obbligatoria di cui ai decreti legislativi 30 giugno 1994, n. 509 e 10 febbraio 1996 n. 103.
Al momento, però, non si chiarisce cosa debbano fare gli oltre 500 mila interessati per farsi pagare. Due mesi fa, esattamente il 28 marzo 2020, i ministri del Lavoro e del Mef adottarono un decreto che non fu pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, ma sul sito del Ministero del Lavoro sotto la voce “pubblicità legale” che conteneva tutte le istruzioni per incassare i 600 euro.
Tutto lascia, quindi, supporre che anche questa volta si dovrebbe seguire la stessa strada.
Dalla lettura testuale dell’art. 86 emerge chiaramente che se un giornalista o un altro libero professionista ha incassato i 600 euro per il mese di marzo in base all’art. 44 del Decreto legge Cura Italia 17 marzo 2020 n. 18, modificato in parte dall’art. 78 del Decreto legge Rilancio, non potrebbe più incassare l’indennità di 1.200 euro complessivi previsti per i due mesi di aprile e maggio 2020.
Ma una simile interpretazione sarebbe assurda e palesemente in contrasto con lo stesso art. 78 laddove il Governo ha stanziato 1 miliardo e 150 milioni di euro proprio per pagare i 600 euro anche per i mesi di aprile e maggio 2020 a tutti i liberi professionisti in difficoltà economiche per l’emergenza Covid 19.
Peraltro si violerebbe il principio di uguaglianza tra cittadini, sancito dall’art. 3 della Costituzione perché alcuni milioni di lavoratori autonomi iscritti alla Gestione Separata INPS, che su domanda avevano ricevuto i 600 euro per il mese di marzo 2020, hanno già incassato a partire dal 21 maggio 2020 in modo automatico e senza neppure fare domanda i 600 euro previsti per il mese di aprile.
Appare quindi evidente l’ingiusta discriminazione che senza volerlo si è venuta a creare ai danni di più mezzo milione di iscritti alle Casse previdenziali privatizzate.
Il 22 maggio scorso il Sindacato Cronisti Romani ha ritenuto doveroso segnalare queste anomalie al Quirinale ed ha anche indicato il rimedio più rapido per sbloccare la situazione. Basterebbe un’errata corrige di una riga da pubblicare sulla Gazzetta Ufficiale con cui viene espunto dall’art. 86 del decreto legge Rilancio il riferimento all’art. 78 dello stesso decreto legge Rilancio proprio perché l’art. 78 non poteva essere mai richiamato nell’art. 86, in quanto le due norme tra loro di fatto confliggono e si annullerebbero a vicenda, vanificando così la portata stessa dell’art. 78.
Per di più rileggendo bene l’art. 86 ci si accorge che il numero 78 sta lì per sbaglio come un numero “estraneo”. Lo dimostra, appunto, il mancato rispetto della numerazione crescente con gli altri articoli citati sempre, ma correttamente, nell’art. 86: “indennità di cui agli articoli 84, 85, 78 e 98….” .
Insomma, l’unica via d’uscita legale in tempi rapidi è quella di un’errata corrige sulla Gazzetta Ufficiale (la 1^ possibile é quella di lunedì 25 maggio) con l’eliminazione del riferimento al “78” nella 1^ riga dell’art. 86 del Decreto legge Rilancio.
Solo dopo la correzione del refuso i ministri del Lavoro e delle Politiche Sociali e del Mef potranno emanare il decreto interministeriale che non sarà pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica, ma, come è già avvenuto il 28 marzo con il decreto n. 34, sarà reso noto sotto la voce “Pubblicità legale” sul sito online del Ministero del Lavoro. Qui il link di riferimento.
Ci si augura quindi che l’errore venga al più presto corretto e che tutti gli aventi diritto siano pagati in tempi brevi.
Per completezza, tuttavia, si fa presente che nel decreto legge Rilancio non mancano altre anomalie, disattenzioni e dimenticanze, denunciate anche dal presidente dell’ENPAM e dell’ADEPP Alberto Oliveti alle quali, però, potrà porre rimedio solo il Parlamento in sede di conversione del corposo provvedimento.
1) va corretta la grave discrasia tra l’art. 84, terzo comma, del decreto Rilancio che concede un’indennità per il mese di maggio 2020 pari a 1.000 euro ai liberi professionisti iscritti alla Gestione Separata INPS non titolari di pensione e non iscritti ad altre forme previdenziali obbligatorie che abbiano subìto comprovate perdite (riduzione di almeno il 33% del reddito del secondo bimestre 2020 rispetto a quello del secondo bimestre 2019) e il precedente art. 78 in cui manca, invece, un’analoga norma a parità di condizioni in favore dei giornalisti iscritti alla Gestione Separata INPGI (o INPGI 2) e ai liberi professionisti iscritti alle altre Casse di previdenza privatizzate non titolari di pensione e non iscritti ad altre forme previdenziali obbligatorie.
È un’evidente ingiusta discriminazione rispetto a tutti i liberi professionisti iscritti alla Gestione Separata INPS che va al più presto chiarita;
2) il decreto legge Rilancio ha escluso i professionisti iscritti alle Casse previdenziali privatizzate, come l’INPGI 2, dai contributi a fondo perduto, anche questi esentasse, accordati ad imprese e altri autonomi con partita Iva.
3) mancano chiarimenti anche sul fronte fiscale, visto che non si è trovato ancora il modo di chiarire come debbano essere trattati gli aiuti degli enti di previdenza dei professionisti.
Trattandosi di interventi assistenziali analoghi, l’esenzione fiscale applicata ai 600 euro statalidovrebbe essere ufficialmente riconosciuta ai sussidi e indennità una tantum in favore dei lavoratori autonomi in iscritti all’INPS, compresi quelli aggiuntivi pagati dalle singole Casse, come ad esempio, i 500 euro che pagherà l’INPGI 2 a partire dal 1° giugno 2020 a 2.800 giornalisti iscritti ai quali sarà per ora effettuata una trattenuta fiscale del 20% cosiché riceveranno 400 euro netti, anziché 500. Non si può, però, escludere che molti di essi presenteranno ricorso alle Commissioni tributarie. (fonte Associazione Stampa Romana)