La serie Snowpiercer è una detective story con la maschera della distopia
by Paolo ArmelliNonostante un'eredità pesante da mantenere e qualche difficoltà nel tenere assieme un ordine socio-economico molto complesso, la serie riesce a trovare una chiave avvincente e acuta nel raccontare una vicenda che esaspera i contrasti umani
In origine era la graphic novel di Jacques Lob e Jean-Marc Rochette, Le Transperceneige, pubblicata nel 1982. Nel 2013 uscì poi il suo adattamento cinematografico Snowpiercer, diretto da quel Bong Joon-ho lanciato alla fama internazionale proprio da questo film e che quest’anno si è aggiudicato l’Oscar con Parasite. Ovvio che la serie tv Snowpiercer, ultimo tassello di questa trafila crossmediale diffuso dal 25 maggio su Netflix, nasceva sotto aspettative altissime. E anche sotto una stella non propriamente fortunata: il progetto per una versione seriale del film, che fungesse anche da parziale reboot di quell’universo narrativo, era emerso nel 2015 ma varie traversie produttive e indecisioni di network ne avevano ritardato le riprese fino al 2019, fino allo sblocco che ha portato al suo debutto negli Stati Uniti in questi mesi.
Non era appunto facile accodarsi a un immaginario così complesso, non solo dal punto di vista dell’eredità ma anche della struttura stessa della vicenda: ci troviamo infatti su un treno lungo 1001 carrozze, dove l’umanità (o meglio una parte di essa) si è rifugiata dopo che una nuova era glaciale ha reso invivibile il pianeta. Il treno continua a viaggiare ininterrotto attorno al pianeta, mentre al suo interno una complicata e rigorosa organizzazione socio-economica e tecnologica garantisce alla popolazione divisa in tre classi alcuni se non tutti i privilegi di cui godeva nella vita di prima; in fondo, poi, ci sono gli abitanti della cosiddetta Coda, viaggiatori senza biglietto che sono saliti in extremis e si sono barricati nelle ultime carrozze vivendo in condizioni di estrema precarietà.
Proprio su questo poderoso ma anche fragilissimo ordine sociale si basano le vicende raccontate dalla serie che, rivedendo il punto di partenza del film (una rivolta guidata dal protagonista Chris Evans), qui invece cerca di piegare questo immaginario a una trama completamente diversa: Melanie Cavill (Jennifer Connely, qui algida ma anche piena di sfumature) è la voce degli annunci che risuonano in tutte le carrozze, oltre a essere l’unico anello di contatto con Mr Wilford, il fantomatico ideatore del treno, e a nascondere un difficile fardello segreto; in quello che ha tutta l’aria di essere una specie di uber-Assassinio sull’Orient Express, la donna preleva dalla Coda Andre Layton (Daveed Diggs), l’unico detective a bordo (nonché leader di una rivolta in corso di pianificazione) per risolvere un omicidio apparentemente banale ma che rischia di portare a galla alcuni segreti che potrebbero sovvertire per sempre l’esistenza stessa dello Snowpiercer.
Se nella pellicola di Bong Joon-ho, dunque, ci trovavamo di fronte a un film d’azione riscritto secondo i canoni claustrofobici e antropologica di un treno di questo tipo, nella serie questo complesso sistema socio-economico è raccontato con più agio, mostrano i vari microuniversi che lo compongono: per sostenere un’umanità intera coi suoi bisogni primari e secondari, a bordo ci sono allevamenti di bovini, frutteti, acquari ma anche nightclub, mercati post-industriali e molto altro. L’estetica in questo caso gioca un ruolo fondamentale, quando si passa dalle lussuose e patinate carrozze dell’aristocratica prima classe alla più grigia e dimessa terza classe, per non parlare della Coda, dipinta come uno slam angusto e pieno di disagio. Seppur non sempre fluidamente, lo Snowpiercer seriale diventa una continua metafora sociologica, dove lo scontro di classe non è solo frutto di privilegio o rivendicazioni, ma rappresenta anche un complesso meccanismo di contrappesi e concessioni.
Ci sono dei momenti, almeno nei cinque episodi visti finora (sui dieci totali), in cui la sceneggiatura fatica a dar voce a tutte le varie anime che compongono il treno e la serie, passando vertiginosamente da un settore all’altro e introducendo fin troppi personaggi. Il suo corpo centrale, però, è costituito da un mistero che si dipana progressivamente, in cui ogni protagonista rivela via via pezzi di una verità sempre parziale, e in cui lo spettatore si trova avvinto: perché non si tratta solo di scoprire chi ha compiuto il delitto (o i delitti), bensì di prevedere come rivelazioni e condanne porteranno conseguenze estreme a una società che si regge, nonostante tutto, su un sottilissimo strato di ghiaccio. Di Snowpiercer è già stata ordinata una seconda stagione, quindi è facile prevedere che le vicende raccontate avranno una prosecuzione: l’auspicio è che continuino a lavorare su questo limite marginale, fra il cosmo dell’ordinamento sociale e il caos delle pulsioni individuali.