Italiani global, Italia provinciale

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master1305 via Getty Images

Quasi 500 miliardi di euro di esportazioni (pre-Covid), 5 milioni di italiani residenti all’estero (e decine di milioni di italodiscendenti), oltre 90 milioni di turisti accolti (Pre-Covid), 5 miliardi di investimento in cooperazione, 7000 soldati in missioni internazionali, primo Paese europeo per investimenti diretti in Africa. Merito di alcuni italiani global, senza dietro l’Italia.

Imprenditori, missionari, cooperanti, artisti e ricercatori sono ovunque nel mondo e rappresentano, ognuno a suo modo, quell’”Italian way of life” che è una buona miscela di intraprendenza, immaginazione, “competenza umanistica” – studio, più relazionalità, più flessibilità – condita con cura per la qualità e attenzione al bello. Raramente però sentono dietro un Paese.

La politica e il Parlamento, i mass media e la cultura popolare nazionale, l’apparato amministrativo e normativo sono arretrati, da qualche decennio, a un provincialismo sorprendente.

Le polemiche su Silvia Romano o la sfuriata “virale” del deputato alla Camera, qualche settimana fa, su 50 milioni di credito (sottolineo credito) dato alla Tunisia in forza di vecchi accordi, rappresentano esempi disarmanti. Il messaggio di fondo è che quanto il Paese investe per avere un profilo internazionale è inutile, superfluo, dannoso. Oggi bisogna comprare le mascherine, ieri pagare gli esodati, l’altro ieri salvare Pompei. Tutte istanze giuste ma che nessun altra democrazia mette in competizione col proprio ruolo nel mondo.

La Francia, con la sua iniziativa “COVID-19 – Health in Common”, destina 1,2 miliardi all’aiuto internazionale, il “sovranissimo” e “arcigno” presidente Trump riduce il contributo all’Organizzazione mondiale della sanità ma aumenta i fondi per la cooperazione bilaterale. C’è da chiedersi se lo facciano per un impeto di bontà o per via di un’antica intelligenza politica.

In nessun posto è venuto in mente di proporre una legge-manifesto per vietare il pagamento dei riscatti per gli italiani all’estero (perché non interrompere anche il sostegno ai 3000 italiani nelle carceri di mezzo mondo?) o per accollare alle ONG i costi e responsabilità per il recupero del loro personale (stiamo parlando di professionisti regolarmente contrattualizzati e assicurati, come i giornalisti o i lavoratori delle imprese).

La verità è che l’idea stessa che l’Italia possa avere ruolo politico internazionale, oltre la pizza e la Ferrari, non viene né spiegata, né costruita e tanto meno compresa.

La tradizione internazionalista ed europeista dei grandi partiti della Prima repubblica (la DC, il PSI, il PCI) è svanita. In Parlamento si discute poco e male, nel disinteresse generale, di documenti strategici quando anche approdano in Aula o in Commissione. L’ultimo Documento triennale strategico o l’ultima relazione sulla cooperazione, per dirne una, risalgono a due o tre anni fa. Il “Rapporto 2020 – Le scelte di politica estera” sulla politica estera italiana è uno strumento che appartiene all’archeologia (del 2008), non è mai stato utilizzato, forse consultato da qualche “Indiana Jones” appassionato.

Lontanissimi i tempi di Fanfani, presidente dell’Assemblea dell’ONU, di Craxi che proponeva la cancellazione dei debiti del Terzo mondo da rappresentante speciale del Segretario delle Nazioni Unite, persino di Emma Bonino commissaria europea o della politica filoaraba della DC nel Mediterraneo.

Sembrerebbe tutto sepolto sotto le macerie del Muro nel 1989, da quando per ragioni differenti il profilo del Paese è andato smungendosi e perdendo contorni. Le difficoltà economiche, l’ossessione della legittimazione atlantica da parte della sinistra, una difficoltà a ricollocarsi tra Europa, Mediterraneo, Mosca e Washington, una visione in chiave solidaristica e non politica dell’Africa, l’abbandono dei Balcani, l’incomprensione della cooperazione come strumento di “soft power”, il periodo dell’Italia “paria” nei contesti internazionali durante alcuni governi di centro-destra, la ricerca di un “interesse nazionale” secondo la scuola realista e pragmatica di Limes (rivista comunque meritoria nel suo sforzo di proporre una visione internazionale per l’Italia) piuttosto che l’approfondimento della tradizione “unitiva” e pacificatrice propria della nostra tradizione costituzionale ha allontanato gli Italiani d’Italia dagli italiani global.

Ai nostri cittadini, giornali e TV riservano pagine di “esteri” al contagocce (meno del 9% del totale, si veda l’ottimo “Illuminare le periferie”) e infarcite di vestiti smeraldo di Kate Middleton, racconti strappalacrime delle vittime di qualche disgrazia, le divertenti gaffe del presidente americano.

Fine delle trasmissioni.