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James Cameron, da Terminator a Avatar: la filosofia del taglio del tempo

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Rinomato per gli incassi fuori scala e per le lievitazioni del budget, nel cinema di James Cameron tutto è un eterno ritorno.

Roger Corman con la sua Factory ha fatto scuola ad una intera generazione di cineasti e fra questi non è mancato James Cameron.

Il cinema come lo intendeva Corman era puro materiale organico da poter riutilizzare in qualsiasi modo e momento fosse opportuno, un modo di produrre artigianale che ha influenzato profondamente il regista canadese che, pur essendosi discostato poi molto, attraverso il progresso tecnologico, dallo stile di uno dei suoi maestri, non ha dimenticato che ogni frame di pellicola che finisca sul pavimento della sala montaggio è prezioso e può essere rivitalizzato inserendolo in un’altra opera.

 

 

James Cameron e le scene tagliate

Nel 1983 James Cameron dirige il suo primo vero film (sorvoliamo sull’infelice parentesi di Piranha Paura), Terminator. Il film sarà un grande successo e darà il La alla sua fortunata carriera.

 

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Elemento fondante della trama è il viaggio nel tempo e i paradossi temporali; al centro di questi un singolo frame, una foto sbiadita e rovinata di una giovane Sarah Connor, ma non è di questo che si vuole parlare qui. Nella sezione scene tagliate del Blu-Ray del film è infatti possibile reperire un interessantissimo finale poco più lungo. Sarah è sopravvissuta, viene condotta su di una barella verso una ambulanza; la telecamera si alza e inquadra il nome della fabbrica nella quale si svolge l’ultimo scontro con il famigerato T-800. Nome dell’industria che possiede quello stabilimento: Cyberdyne Corporation.

Questa scena non è mai uscita nelle sale e prima dell’avvento del DVD e del Blu-ray forse era reperibile su qualche raro Laser disc, eppure in quei pochi secondi tagliati vi è già il seme di un elemento fondamentale della trama del seguito che uscirà 9 anni dopo. Introdotto un ulteriore paradosso temporale: la capacità di produrre Skynet deriva dal fatto che i resti schiacciati dalla pressa nel film dell’83 finiscono nelle mani di Dyson.

 

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Anni dopo la Cyberdyne Systems Corporation ne trarrà spunto per la produzione della prima intelligenza artificiale che darà luogo alla guerra fra uomini e macchine, alla resistenza, all’invio di un terminator e della tecnologia che porta con se nell’83, la stessa tecnologia che ispirerà la creazione di Skynet stesso. Non è solo John Connor a nascere da un paradosso temporale, ma lo è anche la sua controparte.

Nell’86 esce Aliens che porta alla scoperta di un più complesso ciclo riproduttivo della creatura, simile come struttura a quello di un alveare, con tanto di “Ape” regina (lo puntualizza Hudson sempre in una delle scene tagliate). In molti rimasero sconvolti dal nido funesto, cimitero di corpi umani contorti dal dolore e messi nei bozzoli per essere ospiti degli embrioni, con le uova schiuse a fare da lapidi.

 

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Fra le scene tagliate del primo film di Ridley Scott vi è infatti la celebre Cocoon scene (ormai reinserita nella versione definitiva, ma ignota nell’86) nella quale i membri della Nostromo erano già stati ridotti a bozzoli in una sorta di secrezione resinosa prodotta dall’alieno e seppur con alcune importanti variazioni, il complesso ciclo riproduttivo era già stato teorizzato nei disegni preparatori di Gigger.

James Cameron riadatta e riconverte, in funzione delle esigenze delle sue trame, pezzi di cinema che esistono già, che sono finiti sul pavimento alla moviola, ma che rappresentano una risorsa che da buon figlio di Corman va tesorizzata.

 

16 minutes or less

Con Aliens inizia anche un’altra tradizione che il regista canadese porterà con se nei film successivi. Il taglio di circa 16 minuti di pellicola già montata per esigenze produttive. Esistono infatti edizioni estese di Aliens, Terminator 2, The Abyss, Avatar.

 

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Le parti omesse dal seguito del film di Scott sono molto interessanti, pur togliendo forse un certo ritmo ad una fase iniziale del film. In una di queste Ellen Ripley chiede notizie di sua figlia a Burke. Le verrà passata una foto sgranata di una signora anziana ( nella realtà la madre di Sigourney Weaver), deceduta un paio di anni prima, Amanda Ripley, la figlia che Ellen ha lasciato undicenne prima dell’ultimo viaggio della Nostromo.

Nuovamente una foto a raccontare un paradosso temporale. Sigourney Weaver cerca di carezzare i lineamenti senza spessore della foto di una figlia che non riconosce più, che è invecchiata mentre lei rimaneva in stasi nell’ipersonno per 57 anni. La madre finisce per essere più giovane e sopravvivere alla figlia.

 

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Un intera scena finisce per essere sacrificata da Cameron nella prima parte della pellicola ed è quella ambientata sulla colonia umana del planetoide LV-426. Oltre a mostrare la routine della vita nella colonia, incontriamo nuovamente la nave aliena e vediamo come la famiglia di Newt sia la prima ad avventurarsi nelle viscere del relitto e ad essere il veicolo per la proliferazione della progenie di xenomorfi. Vi è però un singolare dialogo, apparentemente di poco conto, che si svolge fra il dirigente della colonia e un suo impiegato che discutono sulla segretezza della ricerca di un misterioso relitto e sulla vacuità di fare domande in merito alla compagnia, tanto la risposta sarà sempre “non fare domande”.

 

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Sia nelle parole che nelle scelte di inquadratura questa sequenza ricalca perfettamente quella di Terminator 2,ambientata alla Cyberdyne Corporation, nella quale Dyson è incalzato da un suo assistente che fa domande sui manufatti ipertecnologici sui quali stanno lavorando. Ancora una volta quello che è stato rimosso da un rullo di una pellicola viene recuperato in una opera seguente.

 

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Come per Aliens anche per Terminator 2 16 minuti sono tolti dalla versione per le sale e reintrodotti solo per l’home video. Fra queste ricompare in una scena onirica Kyle Reese che ribadisce che “the future is not set”. Non è tanto nelle scene omesse che James Cameron rielabora i film precedenti, quanto nell’evoluzione tecnica. Nell’89 esce infatti l’unico suo insuccesso commerciale The Abyss, nel quale l’uso della computer grafica nella manipolazione dell’acqua sarà l’esperimento finale per la creazione del metallo liquido e riflettente del T-1000.

 

James Cameron e l’autocitazione

Nello stesso The Abyss vi è una intera scena estesa nella quale Ed Harris interagisce con gli alieni che, attraverso uno schermo di acqua marina, mostrano il rischio dell’olocausto nucleare, con un chiaro richiamo all’incubo di Sarah Connor che vedremo in Terminator 2. Inoltre sempre in The Abyss l’uomo incontra una specie aliena le cui capacità di vivere in simbiosi e di rispettare l’ecosistema, in questo caso marino, saranno ampliate quando nel 2009 approderemo su Pandora.

 

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Arrivando a Titanic, di grande impatto visivo furono le immagini dei sottomarini Russi e dei moduli rover , legati con cavi, come fossero cordoni ombelicali, che esplorano i ponti della nave e trasmettono le immagini. Tutte quelle sequenze (in buona parte realizzate dal vero) che catturarono il pubblico nel 97, sono una palese autocitazione delle scene sottomarine di the Abyss, dove compaiono gli stessi sommergibili che guidano non alla ricerca di un relitto del passato, ma di una nave di origini molto più lontane e che si servono di due rover (Big Geek  e Little Geek) per esplorare i fondali più oscuri dell’oceano.

Jake Sully, costretto sulla sedia a rotelle come uomo, entra per la prima volta nell’organismo ibrido Na’vi. Dopo qualche passo stentato lo vediamo correre guardando le sue gambe che solcano il terreno. In Strange Days (diretto dalla Bigelow, ma scritto e prodotto da Cameron) Lenny Nero consegna un disco ad un suo amico, anche egli paraplegico. Le immagini in soggettiva della corsa sulla battigia contenute in quel supporto sono sovrapponibili.

 

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In attesa di vedere in quale modo James Cameron saprà riscoprire i suoi film nei futuri progetti dei seguiti di Avatar (dei quali ormai sono note le date di uscita), rendiamo omaggio ad uno dei più grandi cineasti contemporanei, colui che forse più di ogni altro ha saputo piegare e manipolare lo spazio e il tempo, facendo sì che lo scorrere di singole immagini raccontasse tanto il presente quanto il passato e impressionasse il futuro.