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Prestiti alle imprese, ora il governo litiga anche sui Benetton

Il Decreto "Liquidità" continua a fare litigare dentro il governo. Dopo Fiat Chrysler, riflettori accesi su Atlantia, che minaccia azioni legali contro l'esecutivo per la mancata concessione del prestito garantito dallo stato.

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Non abbiamo fatto in tempo di spegnere i riflettori sul prestito da 6,3 miliardi di euro richiesto da Fiat Chrysler Automobiles e per il quale Intesa Sanpaolo ha avviato l’iter di attivazione per la garanzia dallo stato all’80%, che subito spunta un altro caso a seminare zizzania nei banchi della maggioranza. Atlantia, la holding della famiglia Benetton, ha chiesto alle banche un prestito da 2 miliardi di euro con sottostante garanzia pubblica. Poiché dal Ministero dello Sviluppo economico è arrivato per il momento un “no” fermo, i legali della società e della controllata Autostrade per l’Italia hanno minacciato azioni legali contro l’esecutivo.

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In difesa di Atlantia è sceso in campo il direttore generale di Aiscat, l’associazione dei concessionari, Massimo Schintu, il quale ricostruisce la vicenda in termini più sfumati, sostenendo che la società non avrebbe minacciato il governo di bloccare gli investimenti, ma che avrebbe fatto presente di non essere nelle possibilità di investire, nel caso in cui non avesse più accesso al mercato del credito, trattandosi di un’attività ad alto fabbisogno di capitali.

La vicenda s’intreccia con tutta evidenza con il caso del Ponte Morandi a Genova, il cui crollo, avvenuto in data 14 agosto 2018, provocò 43 morti. Il governo è diviso sulla revoca delle concessioni autostradali ad Atlantia, con il Movimento 5 Stelle a favore e il PD contrario. Da mesi si cerca una soluzione di compromesso che salvi a tutti la faccia dinnanzi all’opinione pubblica e che consisterebbe nell’evitare l’estrema ratio della revoca, attraverso l’ingresso dello stato (CDP?) nella holding con una quota di minoranza.

Sui termini si continua a trattare con i Benetton, ma adesso le tensioni sul mancato prestito garantito dallo stato rischiano di fare saltare tutto, quando si avvicina la “deadline” del 30 giugno, superata la quale la famiglia potrebbe compiere il passo clamoroso di uscire dal business e di richiedere allo stato un maxi-risarcimento da 23 miliardi.

Decreto “Liquidità” fa acqua da più parti

Al di là delle posizioni di ciascuno sulle responsabilità contrattuali, morali e finanche morali dei Benetton sulla tragedia di quasi due anni fa, qui rileva la schizofrenia di un governo, che a poche settimane dal varo di un decreto per erogare liquidità alle imprese si è distinto per mostrarsi contrario alla sua attuazione in favore di alcune grosse realtà industriali italiane, che formalmente avrebbero titolo per avvalersene. FCA è un caso obiettivamente imbarazzante, a riprova dell’esistenza di un capitalismo d’accatto di bassa lega. Tuttavia, non è colpa di John Elkann e dei suoi dirigenti, se il decreto contempla l’ipotesi di richiedere un prestito garantito per l’80% dallo stato anche per le società con sede legale e fiscale all’estero. Né è colpa dei Benetton, se nel medesimo decreto non si faccia accenno all’esclusione dai beneficiari di quelle società che abbiano un qualche contenzioso legale con lo stato.

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Ancora una volta, il governo Conte dà l’immagine di un Paese non capace di attenersi alle sue stesse leggi. E’ accaduto con il caso ArcelorMittal, con Roma a minacciare l’investitore indiano reo di essersi avvalso di una regola contrattuale firmata dallo stato italiano, a seguito di un cambio repentino di posizione di quest’ultimo sul cosiddetto “scudo” penale per le norme anti-inquinamento. E’ lo stato di diritto la vera vittima di questo esecutivo, che anche quando avrebbe ragione – nel caso FCA ne avrebbe un bel po’ – segnala di comportarsi in maniera del tutto estranea a una liberaldemocrazia, scrivendo prima regole di manica larga, salvo rimangiarsele successivamente per mostrare il volto duro contro “approfittatori” e capitalisti senza scrupoli.

Così, non andiamo da nessuna parte. Chi mai verrà a investire in un Paese, dove il governo va avanti con la lista dei buoni e dei cattivi, applicando le leggi per i primi e interpretandole per i secondi?

giuseppe.timpone@investireoggi.it