Brumotti e l’aggressione a milano: 'non ho visto piccoli spacciatori,ho visto la 'ndrangheta'
“QUANDO MI SONO VENUTI ADDOSSO NON HO VISTO DEI PICCOLI SPACCIATORI, HO VISTO LA ’NDRANGHETA...” - VITTORIO BRUMOTTI, INVIATO DI 'STRISCIA', RACCONTA L’AGGRESSIONE A MILANO: “C’ERANO TANTI RAGAZZI DI COLORE. MI HANNO COLPITO CON UN BASTONE. LA MIA È UNA VOCAZIONE, HO LA SINDROME DI PETER PAN, SONO UN ETERNO BIMBO CHE VUOLE VEDERE CHE TUTTO VA BENE. I PRIMI COLPI DI PISTOLA? NON SI SCORDANO MAI: FU A SAN BASILIO…" - VIDEO
Renato Franco per corriere.it
«Per rigenerarmi sono tornato sul luogo del misfatto con la mia mascella mezza distrutta: è il mio modo per superare il trauma. Poi sono andato a villa Necchi, una delle meraviglie del Fai, a rifarmi gli occhi, per riempirli di cose belle». Vittorio Brumotti è un tipo ancor più testardo degli spacciatori che ogni giorno fanno il loro lavoro nelle piazze.
Campione di bike trial, inviato (in bici, ovvio) di Striscia la notizia dal 2008, ha già vissuto un centinaio di volte quello che gli è capitato l’altro giorno a Milano, nella super centrale Porta Venezia, dove stava documentando lo spaccio quotidiano: «Coca, crack, metanfetamina... Sono stato aggredito da un gruppo di spacciatori. Mi hanno colpito al volto in modo violento con il bastone della mia go pro, una botta fortissima. Sono svenuto per qualche secondo, ora ho lividi qua e là».
Prima le hanno lanciato pietre e bottiglie...
«C’erano tanti ragazzi di colore. Ma non sopporto le generalizzazioni. Sono di colore anche i tanti ragazzi che ci hanno portato il cibo a casa con Glovo per soddisfare i nostri vizi. La colpa dello spaccio è degli italiani: sono loro i primi consumatori di droga, spesso padri di famiglia che vanno a comprare cocaina per il loro sballo. E italiano è il business: la ’ndrangheta controlla il 90% del mercato della coca. Quando mi sono venuti addosso non ho visto dei piccoli spacciatori, ho visto la ’ndrangheta».
Tanti se lo chiedono: chi glielo fa fare di andare a rischiare sempre la pelle?
«Lo faccio per vocazione, come la fede per i preti. Per questo non mi piace quando strumentalizzano i miei servizi: io mi muovo solo quando mi chiamano i cittadini esasperati da situazioni insopportabili. Io porto la mediaticità: la telecamera — come la penna — fa paura a tutti. Pensi che il paradosso è che mi sento quasi più a rischio quando faccio i servizi contro chi parcheggia ingiustamente nel posto dei disabili. In quei casi, a volte, la reazione della gente è molto più aggressiva di quanto mi aspetti».
La vocazione quando è arrivata?
«Mio papà è un ex carabiniere, mio zio era un generale dei carabinieri. Il senso delle regole ce l’ho nel sangue. Molti pensano sia un esaltato o un incosciente, ma anche se non andassi in onda farei questo lavoro. Non lo faccio per apparire e non lo faccio nemmeno per soldi. Quello che guadagno dal programma lo reinvesto per fare sempre ricerche sul territorio. Mi hanno minacciato di morte in tutti i modi, ma non mi fermo perché se no hanno vinto loro».
Spesso è lei a diventare notizia. Qual è il suo obiettivo?
«Il mio obbiettivo è risvegliare le coscienze, il mio motto è andare a riprendersi il territorio dove comandano le mafie. Le mafie vanno ridicolizzate e Striscia ha trovato la chiave ironica giusta, con questo personaggio che va in bicicletta nei luoghi dello spaccio. Vado a saltellare davanti a loro e li rendo ridicoli».
I suoi genitori non la dissuadono? E la sua fidanzata Annachiara Zoppas (figlia del presidente del gruppo San Benedetto) cosa le dice?
«Lei è nata in battaglia con me, vede la mia passione. Ho gli scaffali pieni di libri sulla criminalità. Se vado in vacanza in Calabria faccio tappa nel triangolo malavitoso di Platì, San Luca e Africo. A Roma vado a San Basilio. Togliermi tutto questo è come togliermi l’ossigeno. Quando prendo le mazzate la prima cosa a cui penso sono i miei cari, ma sanno che non mi possono fermare: sarebbe una battaglia persa».
La volta che ha avuto più paura?
«I primi colpi di pistola non si scordano mai: successe proprio a San Basilio. Anche allo Zen di Palermo me la sono vista brutta».
La volta di cui va più fiero?
«A Guardavalle, in provincia di Catanzaro, dove davanti al municipio c’era la statua di Sant’Agazio donata dalla famiglia Gallace, una delle ‘ndrine più potenti della Calabria. Averla fatta togliere è stata un bella vittoria».
Antonio Ricci che suggerimenti le dà?
«È come un padre, è un leader. Conosce la mia preparazione e sa che non vado allo sbaraglio: sono uno stratega, prendo tutte le precauzioni necessarie. Ringrazierò sempre Striscia, gli unici ad aver creduto in me: il nostro è servizio pubblico».
Togliere gli spacciatori dalle piazze è come svuotare il mare con un secchio. Non si sente un Don Chisciotte?
«Ho sempre odiato chi fa del male a chi non si può difendere. Ho 40 anni e ho la sindrome di Peter Pan, sono un eterno bimbo che vuole vedere che tutto va bene»