Dopo la pandemia occorre l’iperpolitica
by Davide CadedduLa lista è ormai davvero lunga, in Italia come all’estero. Il numero dei rappresentanti politici che, in questi mesi, ci hanno fatto sorridere o disperare è molto più alto di quanto potessimo mai prevedere. È così. La pandemia del Covid-19 ha messo a nudo, a livello internazionale, le lacune della politica e, ancor più, il rapporto problematico tra scienza e politica.
L’esilarante e recente show dell’assessore lombardo è solo l’ultimo caso di dichiarazioni (o azioni) che dimostrano l’inadeguatezza di molti rappresentanti politici, nel gestire, con serietà, affari pubblici che richiederebbero, più di altri, responsabilità.
Negli ultimi decenni gli scienziati sociali ci hanno spiegato, con varie teorie e numerosi libri, come la società sia diventata più complessa e, paradossalmente, la risposta generata dalla società è stata quella di chiedere una forma di partecipazione e di rappresentanza politica che implica una tendenziale semplificazione delle risposte da offrire ai problemi multiformi del mondo moderno.
A illuminarci è arrivato il Covid-19, che ha mostrato e sta rivelando i limiti del populismo tanto di destra quanto di sinistra, di governo o di opposizione. La sintesi politica non è semplice, certo, come prova il fatto che si sia passati, per esempio in Italia, dalla critica del principio dell’“uno vale uno” e delle piattaforme di consultazione online, alla critica delle “task force” e dell’uso di esperti e scienziati.
Il Covid-19 ha evidenziato, però, anche le concrete dinamiche che la globalizzazione ha finora prodotto, con una intensificazione (quantitativa) delle relazioni umane su scala mondiale. In particolare, ciò che era emerso prepotente all’opinione pubblica con i “Fridays For Future”, promossi dal team di Greta Thunberg, è apparso in tutta la sua evidenza con le foto e i filmati di una natura che si è depurata e risvegliata, grazie all’inattività degli esseri umani.
In altri termini, attraverso l’esperienza della pandemia è diventato forse più chiaro che uno è il mondo e uno il suo destino: i problemi del locale possono essere risolti, sempre di più, solo attraverso un approccio globale. Proprio a questo riguardo, può essere estremamente interessante e stimolante, per il pubblico italiano, leggere l’agile riflessione di Peter Sloterdijk – filosofo tedesco noto a livello internazionale per “Kritik der zynischen Vernunft” (1983) e “Sphären” (1998, 1999, 2004) –, pubblicata in questi giorni con il titolo “Sulla stessa barca. Saggio sull’iperpolitica” (Edizioni ETS). Essa costituisce, peraltro, un’introduzione assai utile ai temi cari all’autore, affrontati con una prosa evocativa e impressionistica, più che logica e concettuale. Anche a prescindere dalla condivisione della sua filosofia della storia – che individua tre fasi connotate rispettivamente da una “paleopolitica”, una “politica classica” (o “atletica statale”) e una “iperpolitica” – vari spunti si rivelano davvero attuali (pur se elaborati originariamente nel 1993).
Per esempio, Sloterdijk rileva che “una parte del disagio crescente delle masse nei confronti della classe politica” è costituita dalla constatazione che i politici in carica non siano in grado di far fronte alle “sfide della nuova situazione”. I problemi delle democrazie occidentali non nascono, in effetti, con la gestione del Covid-19: “Pur non sapendo indicare nel dettaglio cosa questo o quel politico avrebbe dovuto fare altrimenti, qualsiasi osservatore dell’andazzo nelle capitali moderne sente che i rappresentanti del popolo non fanno abbastanza, se si limitano a sedere per intere giornate all’interno di commissioni con un fare volenteroso ma inefficace”.
Il disagio verso la classe politica è, in realtà, “disagio culturale globale” verso sé stessi: “ciò che salta all’occhio inquieto dei contemporanei nel caso di così tanti politici, ovvero che essi molto raramente sembrano all’altezza delle sfide mondiali, è vero a maggior ragione e nella stessa misura per i non politici”.
Occorre, per Sloterdijk, un cambio di passo: è necessaria la consapevolezza di vivere ormai in età di “iperpolitica”, la quale – «qualunque cosa essa sia» – deve puntare sul “miglioramento globale”. L’iperpolitica è la politica che, nell’età della globalizzazione, pensa al mondo e alla sua riproducibilità. Proprio perché non può essere dimenticata l’arte della “riproduzione umana dell’essere umano”, non deve essere trascurata tanto la sostenibilità ecologica, quanto quella sociale: “Si comprende a poco a poco che la ‘way of life’ contemporanea e il lungo termine sono due dimensioni strettamente incompatibili”. L’iperpolitica è la chiave della loro compatibilità.