Quel che resta di Greta Thunberg

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Ansa

Il Coronavirus è veramente un momento di cesura: c’è un primo e c’è un dopo. Sembra passato un secolo da quando Greta Thunberg imperversava su tutti i mezzi di comunicazione con la sua campagna per la difesa dell’ambiente. Oggi, Greta è quasi scomparsa.

Quando accadono eventi così traumatici, si usa dire che si entra in un modo e se ne esce in un altro. Prima della crisi, bastava una foto con una tazza del caffè di plastica per impallinare un personaggio pubblico accusandolo di non fare abbastanza per l’ambiente. Oggi, cosa rimane di tutto questo?

Poco, almeno per il momento. Di fronte al Coronavirus tutti noi abbiamo rivisto le nostre priorità e l’interesse per la tutela dell’ambiente è passato in secondo piano. Possiamo però provare a fare un paio di considerazioni immediate e una più di lungo periodo.

La prima. Per combattere il Coronavirus abbiamo fatto ricorso alla plastica a piene mani: guanti di plastica, visiere e panelli di plastica, mascherine, sovrascarpe e scafandri in materiali non naturali. Quasi tutto monouso, da usare e gettare. Verrebbe da dire... meno male che è stata inventata la plastica. A tale proposito vale la  pena ricordare che il padre della plastica è Giulio Natta, unico Premio Nobel per la chimica italiano. Un vanto della nostra ricerca scientifica... chissà cosa avrebbe pensato di tutto il discredito gettato sulla sua invenzione e della resurrezione dovuta al Coronavirus.

La seconda considerazione riguarda il fatto che il lockdown ha messo in evidenza l’effetto dell’attività umana sull’ambiente. Alcune stime hanno mostrato che il lockdown ha portato a un abbattimento delle emissioni di circa il 50%, su base annua dovremmo essere a -10/15%. Un’enormità che mostra come il destino in merito all’inquinamento sia in larga misura nelle nostre mani. Costringendo le persone a vivere in quarantena e allo smart working, risolveremmo il problema dell’inquinamento ambientale una volta per tutte.

Cosa rimane dunque della campagna di Greta?

Due cose. Rimane la riflessione che tutti noi posti di fronte a un evento catastrofico senza precedenti abbiamo fatto in merito ai nostri stili di vita. Sicuramente il Coronavirus porterà a riconsiderarli con una rivalutazione di una dimensione a chilometro zero, che dovrebbe essere più sostenibile sul fronte dell’ambiente. 

La seconda lezione ce la suggerisce Greta stessa che, in una intervista alla CNN, sostiene ‘‘La gente finalmente sta capendo che la nostra vita dipende dalla scienza’’. Osservazione ineccepibile che, però, apre un discorso molto più difficile.

Fare campagne sui social network criminalizzando l’uso delle bottiglie di plastica aveva il grande merito dell’immediatezza del messaggio che ha permesso di smuovere le coscienze delle persone che hanno intravisto in Greta una novella Giovanna d’Arco. Questo però non basta. C’è bisogno della scienza appunto.

La crisi ha però mostrato che la scienza ha dei limiti. Di fronte al Coronavirus, è stata per tanto tempo muta e confusa. I messaggi di presunti o illustri scienziati non sono stati univoci: da quelli che sostenevano che era poco di più di un raffreddore a quelli che ne parlavano in termini catastrofici, senza dimenticarci del balletto sull’utilità delle mascherine. Il tema era difficile e i sistemi di comunicazione, con i loro tempi e semplificazioni, ci hanno messo del loro. Gli esperti approdati sulla scena mediatica si contano sulle dite di diverse mani e ognuno di loro aveva la sua opinione originale. Qualcuno era forse un cialtrone ma, insomma, la scienza non ha parlato con voce unica.

A questo dobbiamo aggiungere che la società moderna è talmente complessa che, anche ammettendo di conoscere tutti i risvolti del problema, le soluzioni per affrontarlo sono complicate e non hanno natura esclusivamente tecnica. Pensiamo a tutti gli errori fatti in fase di chiusura e ai problemi che stiamo gestendo nella Fase 2. L’ambiente non è da meno, le opinioni tra gli scienziati non sempre sono univoche.

C’è forse un maggior grado di omogeneità, ma il problema che si pone è quello di quali risposte dare al problema. Non basta una campagna contro le bottiglie di plastica. Il punto è capire quali bottiglie, tra quelle di plastica, di alluminio, vetro e acciaio, sono più sostenibili considerando tutto il ciclo di vita del prodotto. Conviene incentivare l’uso di un altro materiale o il riciclo della plastica? Il punto è capire quali incentivi fornire alle energie rinnovabili e così via.

Discorsi che Greta non può affrontare… questa è la sfida che dobbiamo raccogliere ben consapevoli che anche su questo la scienza non sarà capace di dare risposte univoche.