Il lato oscuro Disney: quando non basta un poco di zucchero | Cultura Pop

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Sappiamo tutti quali siano i riflettori che puntano le luci sul mondo fantastico, brillante e pieno di emozioni che Walt Disney ha creato per noi. I personaggi che da decenni vivono nell’immaginario collettivo quasi universale sono entrati nella storia, arricchendo l’infanzia di tanti e segnandola per sempre. Ogni medaglia ha però le sue due facce, anche il giorno è seguito dalla notte, ciascuno di noi ha il suo lato oscuro (e non parliamo di Star Wars, non questa volta).

La bellezza dei film, dei live action e dei corti che conosciamo oggi non sono le sole tracce che questa fabbrica dei sogni ha lasciato nella storia, solcandone il terreno con passi difficili da cancellare. Parliamo infatti della difficile epoca che ha visto produzioni dalle vicissitudini non limpidissime e molto chiacchierate, da I racconti dello zio TomDer Führer’s Facea cavallo tra razzismo e nazismo. Vi sembra incredibile? Non lo è affatto, scopriamone di più insieme.

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Che Walter Disney non avesse una condotta completamente retta e corretta, è un dubbio che ci sorge nel momento in cui approfondiamo il concepimento e la nascita di alcuni film a cartoni animati degli anni Quaranta del Novecento. Cominciamo proprio da Song of the South, a noi giunto con il titolo I racconti dello zio Tom, cercando forse qualche assonanza con La capanna dello Zio Tom, come è d’uopo fare nella localizzazione dei titoli dei film dall’alba dei tempi.

Il film viene anche citato da Dick Samuels e Avis Amberg nella serie Netflix Hollywood, proprio durante una discussione su quali contenuti potessero essere mostrati liberamente al pubblico, e quelli invece considerati più sensibili:

So what about Song of the South? A racist piece of trash where slaves were so happy, they didn’t even want to leave the plantation.

Si tratta dunque di un film accusato di raccontare la storia di “schiavi felici di vivere nelle piantagioni”, ambientato dopo l’abolizione della Schiavitù nei paesi del sud degli Stati Uniti, dove Uncle Remus (in versione originale) è un anziano cantastorie afroamericano di una piantagione del Profondo Sud. Tutta la vicenda ruota attorno al giovane Johnny, un bambino di sette anni che vive con la madre in una piantagione appartenente alla nonna. Già vittima della separazione dei genitori, decide di fuggire di casa.

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Un anziano di colore, a tutti noto come lo “Zio Tom”, riesce però a fermarlo facendolo ritornare sui propri passi, attraverso il racconto delle avventure di Fratel Coniglietto, un personaggio che aveva fatto conoscere a Johnny qualche giorno prima. Proprio grazie alle storie dell’anziano, conosciuto anche dalla madre di Johnny, il bambino riesce a evadere dalla realtà che lo intristisce, oltre a uscire vincitore anche dalle situazioni di bullismo che subiva dai compagni di gioco.

Cos’è successo quindi per rendere “tristemente” noto questo film? In Italia il film ha da sempre goduto di un discreto successo, sin dagli esordi nelle sale del marzo 1950, ma il primo doppiaggio italiano originale sembra essere oggi introvabile. Probabilmente si trattava di una versione in cui le persone di colore parlavano in modo sgrammaticato; forse che sì, forse che no.

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Sono solo supposizioni, ma ci dovrebbe essere pur stato qualche motivo per spingere poi l’industria cinematografica a un ridoppiaggio negli anni Settanta. Un vissuto travagliato in Italia, ancora più articolato e mal tollerato negli Stati Uniti; I racconti dello Zio Tom ripropone le problematiche nel parlato dei protagonisti di colore e, ancor peggio, propone una rappresentazione edulcorata e decisamente lontana dalla realtà delle condizioni dei lavoratori nelle piantagioni.

Si fanno passare per “buoni” gli schiavisti, mentre gli schiavi appaiono sereni e per nulla preoccupati delle diverse condizioni con cui vengono trattati rispetto ai bianchi. Accanto alle accuse razziste, c’è invece chi taccia questo titolo di revisionismo, in quanto si “limita” a fornire una rappresentazione storica alterata ed edulcorata dei fatti, come del resto succede solitamente alle opere Disney, che riprendono e reimpastano le versioni originali di storie e favole più dure e crude.

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Il film venne però accolto molto positivamente dal pubblico afroamericano del tempo, tanto da chiedere una seconda ritrasposizione, come riportato da Floyd Norman, futuro primo animatore afroamericano alla Disney. Nonostante le critiche, Disney sostenne con successo una campagna per ottenere un Oscar onorario per il protagonista del suo film, James Baskett, il primo afroamericano a ricevere un premio di tale importanza.

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Ad ogni modo, non desideriamo giustificare i riadattamenti e le modifiche apportate al film originale, in quanto la situazione rimane ancora oggi delicata, come dimostrano le cronache attuali. Questo caso suscita ancora oggi problematiche, evidenziate anche in occasione dell’annuncio del nuovo presidente Bob Chapek a capo di The Walt Disney Company.

Sostituto di Bob Iger, quest’ultimo, ora presidente esecutivo, ha dichiarato che il film non si può considerare “un contenuto appropriato nel mondo contemporaneo”, una definizione valida anche per altre produzioni Disney e che non è possibile diffonderle al giorno d’oggi senza offendere e urtare la sensibilità di parte (se non della totalità) del pubblico di spettatori.

Ombre del passato

Non a caso infatti, i contenuti caricati sulla piattaforma Disney+ ad oggi non contano I racconti dello zio Tom, e si mostrano davvero attenti a quanto viene presentato sullo schermo. Alcuni prodotti resi disponibili dal servizio streaming hanno subìto infatti delle piccole censure, al fine di evitare qualsiasi tipo di problema nei confronti delle svariate culture e sensibilità.

Si cerca dunque di mettere a tacere i problemi legati ad alcuni passi falsi del passato, legati anche alle frequentazioni di Walt Disney. Tra conferme e smentite del sentimento antisemita e razzista serbato a lungo nel cuore di Walt, si narra che lo stesso abbia accolto, nel 1938, la regista tedesca Leni Riefenstahl per promuovere il suo film Olympia, documentario che la donna girò alle Olimpiadi del 1936, quelle “di Hitler”.

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Riefenstahl era però anche autrice di pellicole a favore della propaganda nazista, un dettaglio che non smorza l’antisemitismo attribuito a Walt, soprattutto dopo che il suo invito non venne ritirato nemmeno a seguito degli accadimenti passati alla storia come la Notte dei cristalli. Sembra inoltre che Walt partecipasse a riunioni convocate dalla German-American Bund, un’organizzazione pro-Nazi verso la fine degli anni Trenta e presunte battute a sfondo razzista nei confronti di dipendenti di origine ebraica.

A tal proposito, è intervenuto Neal Gabler, biografo di Disney, il quale ha acceduto agli archivi aziendali e ha attestato che “le prove disponibili non supportavano le accuse di antisemitismo“, anche se la posizione di Walt era decisamente ambigua.

Per scoprire di più sulla vita di Walt Disney, scopriamo gli scritti di Neal Gabler nella biografia in copertina flessibile, copertina rigida o formato kindle.

Quest’ultimo infatti entrò anche a far parte dell’associazione Motion Picture Alliance for the Preservation of American Ideals (Alleanza Cinematografica per la Preservazione degli Ideali Americani), dal dichiarato carattere antisemita e anticomunista. Solo una macchia che l’ha accompagnato per tutta la vita, o qualche segnale chiaro e netto da recepire in tutto il suo significato? Se per anni, Walt rimase all’interno di quel gruppo, decise però di allontanarvisi negli anni Cinquanta.

Le stesse distanze vennero poi prese anche nei confronti della sopracitata Riefenstahl, ripudiata dall’artista e motivando questa reazione perché sostenne di non sapere cosa rappresentasse la donna al tempo dell’invito. Le difficoltà relazionali nei confronti del popolo ebraico rimangono però anche nei figli partoriti da casa Disney, dove gli stereotipi etnici entrarono anche nei cartoni animati, non puri da ogni male come dovrebbero essere.

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Alcuni esempi? Eccovi serviti, a partire da I Tre Porcellini, dove il Lupo Cattivo giunge all’uscio vestito da venditore ambulante ebreo; The Opry House con una versione di Topolino vestito da ebreo chassidico; Sunflower, un centauro di colore ritratto a servire le altre creature sue simili in Fantasia e successivamente rimossa in toto, oppure gli indiani in Le avventure di Peter Pan, tornando anche alla comunità afroamericana ne Il libro della giungla e in Dumbo.

In quest’ultimo film, al momento della messa a disposizione su Disney+, si è parlato di recente di voler tagliare la scena finale in cui compaiono i corvi, caricature di afroamericani, il cui leader si chiama Jim Crow, maschera con la quale gli attori bianchi scimmiottavano gli schiavi neri. Lo stesso Norman sopracitato si è dichiarato contrario a queste censure, in quanto, a sua detta:

“il Maestro (Walt Disney, ndr) non sarebbe felice di vedere che i suoi classici animati vengono modificati secondo il politically correct. Walt Disney non era un razzista e non lo erano nemmeno i suoi animatori, ma un intrattenitore e i suoi film animati riflettono ed emulano ciò che era popolare nello show business ai suoi tempi” (fonte: Imperoland)
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Heil! Heil! Right in der Führer’s face

Sull’altro piatto della bilancia, dobbiamo però ricordarci di mettere la produzione di cartoni avvenuta durante la Seconda Guerra Mondiale, quando Disney si dedicò anche a cartoni di propaganda anti-nazista; parliamo del chiacchierato e discusso Der Führer’s Face. Dal titolo originale Donald Duck in Nutzi Land (1943), il film ritrae un riluttante papero che, nel corso di un incubo, si ritrova a dover vestire i panni nazisti di malavoglia, oltre a leggere il Mein Kampf e fare il saluto hitleriano “Heil Hitler“.

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Il corto vinse l’Oscar come miglior cortometraggio d’animazione nello stesso anno di pubblicazione e fu anche l’unico film di Paperino a ricevere l’onore, oltre ad aver fatto passare alla storia la canzone meglio nota come The Nazi Song. Prima del rilascio del film, il gruppo musicale Spike Jones and His City Slickers, noti per le loro parodie di canzoni popolari al tempo, pubblicò una versione della canzone con alcune modifiche, come l’uso del birdaphone, uno strumento che riproduceva una pernacchia dopo ogni “Heil!” in segno di disprezzo a Hitler.

Onori e oneri, però; a causa della natura propagandistica del corto e della rappresentazione di Paperino nei panni nazisti, la Disney tenne il film fuori dalla circolazione dopo la sua uscita originale. La sua prima versione home-video arrivò addirittura nel 2004 con la pubblicazione della raccolta DVD Walt Disney Treasures: Semplicemente Paperino – Vol. 2. Tuttavia, Der Führer’s Face è uno dei corti che non videro la luce in versione DVD in Giappone, Francia, Germania e Italia proprio a causa della propaganda di guerra contro tali nazioni.

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Di fatto, il titolo è dunque rimasto un prodotto inedito ufficialmente agli occhi del pubblico italiano, e, ironia della sorte, sembra che Hitler e alcuni suoi generali adorassero proprio i cartoni Disney, in particolare Biancaneve e i Sette Nani, tanto che lo stesso Führer copiava spesso i personaggi dei cartoni nei suoi disegni. Una passione per Disney che si riflette anche in un contratto stipulato con la casa di animazione, in base al quale dovevano essere prodotti 32 corti animati dal 1941 al 1945, salvando così lo studio dalla bancarotta a seguito del flop di Fantasia.

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Tra questi, spicca Hitler’s children. Education for Death, ossia la storia basata sull’omonimo libro di Gregor Ziemer che narra di Little Hans, bimbo nato nella Germania di Hitler e della sua “educazione alla morte”. Una produzione dai caratteri decisamente atipici, per essere una produzione Disney, e lugubri, rispetto a quelli affascinanti e briosi dell’epoca, distinguendosi anche per via del taglio documentaristico di questo titolo e privo di happy ending.

Se siamo di fronte al massimo della propaganda anti-nazista in questa pellicola, non è da meno il turbamento e il fastidio provocati da queste immagini, che hanno spinto i gli spettatori dell’epoca e di oggi a rifiutare completamente questo film. Forse anche per via della mancanza di traduzione dei dialoghi, interamente in tedesco, ma se la curiosità si fa davvero forte, potete recuperare questo film raramente reperibile nel DVD del 2004 Walt Disney Treasures: On the Front Lines.

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Insomma, ci è ben chiaro da questo quadro generale che il passato di Disney non è affatto luminoso e privo di questioni spinose. Fosse anche il riflesso di una condizione dell’epoca, si parla ad ogni buon conto di commistioni politiche e questioni a sfondo razzista di dubbio gusto, oltre che trattarsi di scelte discutibili e potenzialmente evitabili. Guarderemo con occhi diversi i film Disney d’ora in poi? Forse, o almeno con un occhio più critico e attento. Non sempre basta un poco di zucchero, per mandar giù certe pillole.