la Repubblica

Jurassic Park? No, grazie

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Da qualche anno si parla, grazie ai progressi fatti dalla genetica, di ricreare specie estinte a partire da frammenti di DNA di animali scomparsi anche da tantissimo tempo. L'idea si è fatta più concreta quando nel 2013 fu trovato, nel permafrost di un'isola della Siberia, il corpo perfettamente conservato di una femmina di mammut, rimasta congelata per circa 40000 anni. Ci sono in realtà progetti meno estremi, come quelli di resuscitare il piccione migratore, un tempo abbondantissimo in Nord America e completamente scomparso agli inizi del secolo scorso a causa della caccia intensa e della distruzione dei suoi habitat operati dall'uomo, e del quale rimangono moltissimi campioni museali. Introducendo frammenti di DNA in una specie simile, la colomba fasciata, si potrebbero riportare in vita degli uccelli molto simili ai piccini migratori.

Ma riportare alla vita specie scomparse, se pure diventasse possibile, è una buona idea? E potrebbe servire a ridurre l'impatto delle estinzioni?
In un articolo pubblicato sulla rivista Journal for Nature Conservation, che ho scritto insieme all'ecologo Americano Dan Simberloff, esprimiamo forti dubbi sulle de-estinzioni, almeno se l'obiettivo è quello di porre rimedio alla perdita di specie. Innanzitutto va chiarito che non è possibile ricreare specie esattamente uguali agli originali, non foss'altro perché gli animali non potrebbero contare sull'addestramento dei genitori e sulle relazioni sociali dei branchi, e quindi non potrebbero mai acquisire i comportamenti naturali che avevano in passato. Per questo nelle linee guida dell'IUCN (Unione Mondiale per la Conservazione della Natura) non si parla di de-estinzione, ma più correttamente di creare copie di specie estinte, copie neanche tanto fedeli.

Inoltre nel nostro articolo ci chiediamo che senso avrebbe per la biodiversità ricreare specie estinte da molto tempo; riportare alla vita il mammut, che abitava una terra caratterizzata da condizioni ambientali e climatiche completamente diverse da quelle attuali, potrà avere un grande fascino per il pubblico e può essere molto interessante anche per la scienza, ma non ha niente a che fare con la conservazione della natura. E per di più si rischia che si investano in questi progetti cifre enormi, sottraendole alla vera conservazione.

Tuttavia ci sono casi in cui ricreare una specie estinta potrebbe essere una buona idea. Nell'articolo citiamo il caso della rana gastrica, una ranocchia australiana scoperta solo nel 1972, unico animale a crescere le proprie uova dentro lo stomaco per difenderle dai predatori. Se riuscissimo a capire i meccanismi con cui questa rana evita che i succhi gastrici distruggano i girini, forse scopriremmo un farmaco in grado di curare l'ulcera. Ma purtroppo la rana gastrica si è estinta pochi anni dopo essere stata scoperta, e solo ricreandola in laboratorio potremmo studiarne gli incredibili adattamenti fisiologici.

Ma c'è un altro elemento che ci spinge alla cautela quando si parla di de-estinzione ed è quello chiamato effetto "Jurassic Park". Siamo davvero in grado di prevedere i rischi di riportare alla vita specie estinte, compresi i parassiti e i patogeni con cui convivevano? Proprio perché parliamo di specie scomparse, delle quali quindi sappiamo pochissimo, abbiamo meno strumenti per capire i rischi di riportarle in vita. Insomma, non chiediamo un bando su questo strumento, ma sottolineiamo che occorre grande cautela e assoluto rigore scientifico prima di ricreare in laboratorio forme di vita che non conosciamo a fondo.