la Repubblica

Smart working, che cosa prevede la legge italiana

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Lavoro agile, lavoro a domicilio. Due istituti diversi, normati da leggi diverse. Il lavoro agile (quello che chiamiamo smart working) è stato definito dalla 81 del 2017 mentre quello a domicilio (altrimenti detto telelavoro) risale al 1973, con le legge 877. Nella realtà, però, le due norme descrivono lo stesso fenomeno. "Si tende a pensare che il telelavoro preveda orari e luoghi di lavoro fissi e lo smart working una maggiore flessibilità ma nella sostanza, la vera differenza è che il telelavoro è svolto sempre fuori dai locali aziendali, mentre lo smart working è svolto in parte fuori, in parte nei locali aziendali", spiega Marco Marazza, avvocato e ordinario di diritto del lavoro all'Università Cattolica di Roma.
 
Cos'è. In estrema sintesi, significa che un lavoratore subordinato (a tempo determinato o indeterminato, non c'è differenza) di un'azienda privata o di una amministrazione pubblica svolge la propria attività anche a distanza. Può farlo da casa, ma anche altrove, senza una postazione fissa e "senza precisi vincoli di orario", dice la legge del 2017. Un altro elemento di flessibilità è che il suo lavoro può essere misurato anche con il raggiungimento di alcuni obiettivi. Del resto è la stessa legge che istituisce lo smart working a essere flessibile, lasciando che i dettagli e le modalità vengano stabiliti di volta in volta da accordi individuali o, nelle aziende più grandi, sindacali. Accordi che possono essere a termine o a tempo indeterminato. Insomma: è un vestito che può adattarsi a diverse esigenze.
 
Stato di emergenza. L'unica sostanziale novità introdotta dal governo nel corso della pandemia di Covid-19 è prevista dal Dpcm del primo marzo. Per consentire a molte attività di continuare anche durante il lockdown, infatti, si è scelto di agevolare il più possibile il ricorso al lavoro agile. Fino al termine dello stato di emergenza, decretato il 31 gennaio 2020 e in vigore per sei mesi (salvo proroghe) il datore di lavoro può "mettere in smart working" il dipendente in modo unilaterale. Senza accordi tra le parti che, come abbiamo visto, sono la vera essenza del lavoro agile.
 
Retribuzione, ferie e altri diritti. La legge del 2017 parla chiaro: lo smart worker non può essere pagato meno rispetto a un collega che lavora in sede. E non ha meno diritti. Uguali sono anche le opportunità di crescita professionale: anche agli smart worker può essere riconosciuto il diritto all'apprendimento permanente e alla certificazione delle competenze acquisite.
 
Orario di lavoro. Anche in questo caso non c'è una regola. La legge dice che può anche essere svolto "senza precisi vincoli di orario" ma tutto è rimesso agli accordi tra azienda e dipendente. "Dipende molto dal lavoro che si svolge - dice ancora Marazza - ci sono professioni in cui il lavoratore ha ampi margini di manovra e non ha davvero orari. Per i lavori che si svolgono in gruppo e che richiedono un costante coordinamento con i colleghi il discorso cambia e l'azienda può anche stabilire delle fasce orarie. Altre ancora stabiliscono ai lavoratori agili gli stessi orari dei colleghi in azienda, soprattutto quando le persone che sono fuori devono relazionarsi con quelle che sono in ufficio". Tutto questo entro i limiti imposti dalla legge e dalle contrattazioni collettive.
 
Il diritto alla disconnessione. È un tema strettamente legato a quello dell'orario di lavoro. Lavorare a distanza, infatti, comporta un rischio collaterale che molti italiani hanno sperimentato durante il lockdown: l'assenza di un confine tra tempo libero e orario di lavoro, con email e messaggi a tutte le ore da parte di capi e colleghi. Di diritto alla disconnessione, che in sostanza coincide con la libertà di potersi rendere irreperibile, parla anche la legge 81 del 2017 rimandando però, ancora una volta, agli accordi individuali o collettivi l'adozione di "misure tecniche e organizzative necessarie" ad assicurarlo. E in questi ultimi anni di accordi ne sono già stati siglati alcuni. Sia nell'ambito pubblico che in quello privato. In genere il diritto viene applicato per esclusione: si stabilisce una fascia oraria ampia di reperibilità (non significa quindi che in quella fascia il dipendente debba sempre lavorare) e al di là di quel limite, il lavoratore ha diritto di essere lasciato in pace.
 
Controllo. È un tema che il mondo produttivo sente in modo particolare: se non c'è il cartellino, se non c'è la presenza fisica in ufficio, in che modo il datore di lavoro può verificare che il dipendente svolga la sua attività e il modo in cui la svolge? La legge 81 delega prioritariamente questa materia agli accordi sindacali ma se ci sarà il boom del lavoro agile che tutti si aspettano, è facile prevedere che la questione tornerà al centro del dibattito. Anche perché coinvolge il diritto alla privacy. Di certo gli strumenti di controllo non mancano, dai programmi per fare videoconferenze a quelli che collegano il computer del dipendente al server aziendale. "Bisognerà chiarire se è lecito, e se sì in quale misura, accedere a questi dati per controllare il lavoratore - spiega l'avvocato Marazza - in ogni caso, i quadri delle aziende dovranno essere formati in modo specifico per coordinare chi lavora da casa. Un'attività che richiede competenze molto diverse rispetto a quelle necessarie alla supervisione del normale lavoro da ufficio".