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Cosa succede quando alla pandemia si somma una calamità naturale?

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Non è una domanda casuale: India e Bangladesh hanno dovuto affrontare due disastri simultanei, cioè l’arrivo di un super tifone e la Covid-19 che ha ostacolato i soccorsi. Siamo pronti a gestire più di un’emergenza per volta?

Nel golfo del Bengala sono state ore drammatiche: non bastava l’epidemia scatenata dal coronavirus Sars-Cov-2, ci si è messo anche il super ciclone Amphan, come a ricordarci che la crisi climatica è sempre là fuori ad aspettarci. La tempesta ha toccato terra sulle coste orientali dell’India con onde di cinque metri e venti a 185 km/h. Qando la sua furia si è placata, si sono contate 118 vittime e migliaia di abitazioni in macerie.

Quel che è accaduto nel Bengala ha materializzato un incubo che da settimane tormenta gli esperti di disaster management di tutto il mondo: che cosa accadrà se nel bel mezzo della pandemia dovremo gestire anche gli effetti di un’alluvione o di un terremoto? Perché se è vero che non è mai un buon momento per le catastrofi, questo è forse il momento peggiore. Nei paesi più colpiti dall’epidemia il sistema sanitario è già allo stremo e i soccorritori si troverebbero a operare in condizioni molto difficili, divisi tra la necessità di prestare aiuto ai superstiti e quella di evitare un’ulteriore diffusione del contagio.

Un primo assaggio si era già avuto a metà aprile, quando dozzine di tornado avevano devastato il sudest degli Stati Uniti uccidendo 36 persone. Oltreoceano l’epidemia non aveva ancora raggiunto il picco, ma si era già capito che gestione delle catastrofi e distanziamento sociale non vanno d’accordo. In Alabama un’intera famiglia era stata lasciata fuori da un rifugio in balia dei tornado perché alcuni dei suoi membri non avevano la mascherina.

In quei giorni eravamo troppo presi dalla pandemia per fare caso a quel disastro lontano. Del resto, come insegnano gli studi sulla percezione del rischio, per non essere sopraffatti dall’ansia ci preoccupiamo di una sola minaccia per volta. La nostra prima reazione all’ipotesi di vivere due catastrofi insieme è la rimozione: ma insomma, non ne abbiamo già abbastanza per stare a pensare anche del clima o dei terremoti? È più che comprensibile: non vogliamo neppure credere che le cose possano andare peggio di così. Ma i disastri non fanno caso l’uno all’altro e in molte regioni dell’emisfero settentrionale la stagione dei cicloni e degli incendi si avvicina, mentre un terremoto o un’eruzione vulcanica può verificarsi in qualsiasi momento. Insomma, potrebbe anche piovere, diceva una famosa battuta.

E oggi nel sud dell’India e del Bangladesh ha piovuto a dirotto. Il ciclone Amphan ha minacciato milioni di persone proprio mentre in entrambi i Paesi si registrava un rapido aumento dei contagi. Oggi in India si contano quasi 140 mila casi confermati e oltre 4.000 vittime, mentre in Bangladesh i contagi sono 33.600 con 480 vittime. Per ospitare in sicurezza le persone evacuate , rispettando un minimo di distanziamento sociale, la disponibilità dei posti nei rifugi è stata più che dimezzata e così non c’era posto per tutti. Ma in India c’è chi preferito non entrarci neppure, in quei rifugi fino al giorno prima adibiti a luoghi di quarantena per la Covid-19.

L’allerta è stata massima: lungo la corsa del ciclone Amphan c’era anche Calcutta, con quattro milioni e mezzo di abitanti in lockdown. In Bangladesh si temeva per la città costiera di Cox’s Bazar, dove hanno trovato rifugio quasi un milione di profughi Rohingya fuggiti dal Myanmar e dove la scorsa settimana si erano registrati i primi casi di contagio. Ma il peggio si è verificato nelle Sunderbans, al confine tra i due Stati: l’acqua marina ha invaso i suoli coltivati lasciando nella disperazione milioni di persone tra le più povere al mondo.

L’esperienza insegna che c’è un solo modo per non farsi trovare impreparati di fronte alle calamità: attrezzarsi anche per lo scenario peggiore. Come racconta Robin George Andrews su The Atlantic, negli Stati Uniti si stanno rivedendo i piani di emergenza per capire come proteggere i soccorritori dal contagio o allestire una tendopoli per i sopravvissuti evitando pericolosi assembramenti. Lo United States Geological Survey (Usgs) si è chiesto cosa potrebbe accadere se il temuto Big One colpisse la California durante la pandemia, simulando gli effetti di un terremoto di magnitudo 7,5 con epicentro sulla faglia di Sant’Andrea. Sì, lo so: non ci volete neppure pensare. Ma a questo punto la domanda vale la pena di farsela e rivolgerla anche alla nostra Protezione civile: noi saremmo altrettanto preparati?