SPY FINANZA/ Mes, Bce, Recovery Fund: le mosse da sorvegliare intorno all’Italia

È piuttosto strano che i cosiddetti quattro Paesi frugali del Nord contestino il piano di Francia e Germania sul Recovery Fund

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Prendete il Manchester United degli anni d’oro (conosco il campanilismo calcistico in questo Paese, quindi ho scelto una squadra estera). Dopo una serie infinita di annate strepitose, ecco che qualcosa grippa: un filotto di pareggi intervallato da sconfitte cocenti nelle partite che contano, mugugni dei tifosi, stampa all’attacco e morale dei giocatori sotto le scarpe. Dopo settimane di attesa, sperando in una svolta che non arriva, Sir Alex Ferguson prende in mano la situazione, convoca i media e offre la sua ricetta tecnica – ma anche gestionale e motivazionale – per uscire dalla crisi. A stretto di giro di posta, il capo magazziniere fa sapere di non essere d’accordo con il manager. Di più, dopo una settimana, lo stesso capo magazziniere organizza egli stesso una conferenza stampa e offre la propria soluzione al problema, pressoché antitetica a quella di Sir Alex Ferguson. Non solo la stampa lo sta ad ascoltare, ma monta il caso, offrendogli credito e credibilità e crea nei fatti una disputa paritetica fra i due.

Non sono impazzito, tranquilli. Ho utilizzato questa metafora di intuitiva e generale comprensione, proprio grazie al suo essere parabolica e paradossale, per cercare di spiegare come qualcosa stia covando sotto la cenere. Come leggere, altrimenti, l’importanza che la stampa sta attribuendo alla contro-proposta dei quattro Paesi cosiddetti “frugali” al piano franco-tedesco per il sostegno economico Ue ai Paesi colpiti dal Covid-19? Ovvero, soldi sì, ma sotto forma di prestiti da ripagare con la condizionalità di riforme strutturali. C’è voluto poco per passare dalle condizioni zero del Mes, fatta salva la clausola di destinazione d’uso sanitario dei fondi, alla richiesta di vincolo politico addirittura legato al Recovery Fund, non vi pare? E come mai la Germania, ovvero il Sir Alex Ferguson della situazione, non ha aperto bocca al riguardo, trincerandosi dietro un silenzio assoluto?

Ora, pensate davvero che Vienna operi in totale indipendenza di giudizio e operatività politica da Berlino? E davvero pensate che Copenhagen, L’Aja e Stoccolma si ritengano in grado di generare una massa critica sufficiente a far deragliare o comunque emendare il piano proposto dall’asse renano? È ovvio che qualcosa cova sotto la cenere. Esattamente come sarebbe accaduto se a Manchester, in quel frangente ipotetico di crisi, Sir Alex Ferguson avesse permesso che il capo magazziniere lo criticasse pubblicamente, addirittura convocando una conferenza stampa ad hoc.

Signori, io ve lo dico da settimane e settimane che il conto alla rovescia è iniziato e che nulla può più fermare la sabbia dallo scivolare – sempre più rapida – nella clessidra. È tutto un gioco di specchi e di ombre, nulla più. I bastioni cominciano a cedere, le difese si indeboliscono. Guardate questo grafico, il quale ci mostra il crollo dello spread fra decennale cipriota a 10 anni e Bund dopo che il governo di Nicosia ha rotto gli indugi e detto di sì all’attivazione del Mes. Circa 60 punti base di calo, registrati nella sola giornata di venerdì.

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Insomma, qualcuno ha rotto il tabù, ha sfidato lo stigma, non teme la lettera scarlatta. E non è un caso che lo abbia fatto un Paese che non solo è satellite della Grecia e ha quindi pagato in parte la cura della Troika (controlli di capitale per alcune settimane e conti pubblici sotto la lente di ingrandimento), ma, soprattutto, vede la sua economia interna a pressoché totale vocazione turistica, non essendo particolarmente edificante vantarsi del peso dell’allegria fiscale come componente del Pil, denominata in rubli oltretutto.

Direte voi, la condizionalità sanitaria non vale per Cipro? Possono accedere ai fondi e usarli per mettere in sicurezza totale e assoluta spiagge e resort, alberghi e villaggi vacanze? Certo che sì. Tanto, male che vada, si pagherà una penale sul tasso di interesse applicato a quel prestito ottenuto dall’Europa. Il quale, essendo lo 0,1%, se anche arrivasse all’enormità di aumento del 100% sarebbe comunque meno di quanto richiesto per finanziarsi sul mercato. Oltretutto, in tempi di instabilità finanziaria e geopolitica senza precedenti. In compenso, si cerca di salvare la stagione turistica, visto che i soldi del Mes sono pressoché pronta cassa e, comunque, si può contabilizzarli ex ante nelll’extra deficit, visto che di fronte al virus nessuno fa troppo lo schizzinoso. Magari, così facendo, si ottiene anche l’effetto collaterale di scippare clientela estera a competitor come l’Italia, Paese che pare invece riporre le proprie speranze in merito nell’annunciato tour europeo di moral suasion del ministro Di Maio. Praticamente, meglio ammainare subito gli ombrelloni e riconvertire le spiagge a parcheggi per automobili invendute da affittare ai concessionari.

L’Europa, intesa come entità che sa di dover trovare in fretta un’armatura da indossare per non finire come il proverbiale vaso di coccio fra quelli di ferro rappresentati da Cina e Usa (oltretutto, alla vigilia di quella che pare una nuova Guerra Fredda fra i due), se ne frega della destinazione di quei fondi: vuole il controllo su scelte azzardate da parte dei membri più “eclettici” e indisciplinati. Ad esempio, chi dall’alto della sua ratio debito/Pil da default alle porte, batte cassa in Europa dopo aver firmato allegri memorandum d’intesa commerciale, tecnologica e di partenariato infrastrutturale con Pechino. Soggetto che, sempre nessuno di voi si sia scordato, nei wishful thinking di qualche genio economico del Governo giallo-verde doveva comprare il nostro debito, liberandoci così dalla schiavitù europea. Senza fare nomi, ovviamente. E Cipro, di fatto, è come la Crimea: sovrana sulla carta, provincia russa nei fatti. Vogliamo farla propendere del tutto verso le sirene moscovite, lasciandola alla deriva? Lo stesso varrà, a breve, per la casamadre Grecia, la quale oltre a subire da sempre il fascino russo per la fratellanza ortodossa, ha ormai svenduto metà dei porti ai cinesi. Quindi, un potenziale cavallo di Troia, dopo il primo shopping post-2011.

L’Italia, poi, è boccone prelibato. Il più prelibato di tutti. E per quanto gli ossessionati germanofobi vedano complotti berlinesi ovunque, il rischio reale e incombente è invece quello di tramutarci giocoforza in una colonia cinese. E attenzione, perché quando – non se – arriverà il momento di scegliere il proprio destino, dubito che Lombardia e Veneto con il loro complesso industriale avranno molti dubbi nella propensione fra essere l’hub meridionale della Germania o la Hong Kong europea, visto oltretutto il trattamento che sta subendo in queste ore la ex colonia britannica.

Le parole di Giancarlo Giorgetti nella sua intervista al Corriere della Sera dopo la bagarre in Aula sulla sanità lombarda, al riguardo, sono state decisamente chiare e pesantemente ultimative: occhio, perché qui salta il Paese. Attenzione, poi, a credere che la Bce sia il vero cavaliere bianco che può salvare l’Italia dai vincoli di Mes e Recovery Fund. Perché non è così. Certo, Christine Lagarde, non più tardi di venerdì scorso, ha portato avanti ulteriormente la sua Operazione sborone nei confronti della Corte costituzionale tedesca, annunciando che se necessario gli acquisti in seno al Pepp verranno aumentati già a partire dalla riunione del board del prossimo 4 giugno. Probabile che accada, occorre ammetterlo. Ma il motivo ve l’ho spiegato più volte e trova ulteriore conferma in questa simulazione di Royal Bank of Canada, la quale mette in prospettiva le differenti durate massime del programma anti-pandemia in base agli ammontare quotidiani di acquisti.

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Il rischio, restando al livello attuale, è che si arrivi solo a concludere l’estate o, al massimo, a festeggiare la fine del Pepp con le prime caldarroste. Quindi, come vi ho già detto, Christine Lagarde sta alzando la posta non perché in posizione di forza o perché convinta dei suoi mezzi/fini, bensì perché obbligata dal livello di esborso che lo spread italiano sta comportando alla Bce per restare entro il livello di guardia prefissato di 240 punti base, più o meno. Più di quanto l’Eurotower si aspettasse, più di quanto sostenibile con “soli” 750 miliardi di disponibilità e troppi clienti in difficoltà da accontentare a livello di acquisti di debito sovrano sul mercato secondario. Ma ecco che, sempre Royal Bank of Canada, si è spinta più avanti con il suo studio relativo al futuro del Pepp, preventivando sì un aumento della disponibilità già dal prossimo 4 giugno, ma soltanto per altri 120 miliardi addizionali, quantomeno in prima istanza. Ed ecco che questo altro grafico visualizza quella che potrebbe essere la nuova capital key, quella che guiderà gli acquisti pro quota delle varie Banche centrali su mandato Bce dal 5 giugno in poi: l’Italia, già passata fin dall’inizio del programma anti-pandemia dal 17% statutario del totale all’attuale 32%, sfonderebbe in base allo studio della prima banca canadese la quota totem del 33% per emittente, arrivando addirittura al 40% del totale. Tradotto, dipendenza sistemica dalla Bce.

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E per favore, evitiamo di sbandierare il risultato record dell’emissione del Btp Italia come argomento di contestazione al riguardo. Primo, perché comunque è stato pagato un 1,4% di rendimento che andrà corrisposto, a meno che qualcuno non ritenga plausibile un fondo perduto a favore dello Stato. Secondo, perché senza il backstop dell’Eurotower che finora ha tamponato fiammate del nostro differenziale, yield e ammontare per il Tesoro sarebbero stati ben diversi. E chi anche millanta via autarchiche al servizio del debito, lo sa benissimo. Qual è il problema, il vero nodo? Che nonostante gli acquisti ampiamente a nostro favore compiuti finora – quando sono già stati impegnati circa 200 miliardi in totale dei 750 a disposizione del Pepp -, il nostro spread non è affatto sceso in maniera sensibile. Anzi, ha vissuto montagne russe e poi si è stabilizzato. Ma sempre su un livello alto, troppo alto rispetto alla potenza di fuoco messa in campo da Francoforte in nostra difesa.

Se davvero Royal Bank of Canada avesse ragione e, in virtù in un primo ampliamento limitato della disponibilità del Pepp, l’Italia ne uscisse ulteriormente beneficiaria ma il nostro differenziale, nonostante questo, non riuscisse a varcare al ribasso la quota di 200 punti base – e lì assestarsi, prima di calare progressivamente attorno ai 120-130 – prima della sosta estiva per le istituzioni politiche e monetarie, cosa potrebbe accadere di fuori controllo nel mese di agosto? Quando, giova ricordarlo, va comunque a scadenza la deadline posta dalla Corte di Karlsruhe alla Bce, atto che la stessa Angela Merkel ritiene vincolante al suo mandato: insomma, l’Eurotower non può far passare quella data facendo finta di nulla, perché Berlino non potrebbe accettarlo in punta di Costituzione.

Qualcosa cova sotto la cenere e, calendario alla mano, potrebbe non metterci troppo a palesarsi. Oggi la Bce, come ogni lunedì, fornirà i dati relativi agli acquisti della settimana precedente e vedremo a quale controvalore giornaliero saranno arrivati: vista l’uscita di venerdì di Christine Lagarde rispetto al probabile aumento già in giugno, immagino che non sarà affatto sceso. Anzi. E il nostro spread, fissatosi venerdì a 212 punti base, fungerà a quel punto da cartina di tornasole della nostra dipendenza. La quale, se dopo il 4 giugno risulterà – come temo – ormai strutturale, innescherà il meccanismo dell’ineluttabile. Stanno solo prendendo tempo. E, temo, anche perdendo tempo. Un lusso che il nostro Paese non può più permettersi.