Loredana, bloccata in Ecuador e il suo incredibile viaggio di rientro in Italia

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Loredana, bloccata in Equador e il suo incredibile viaggio di rientro in Italia
Loredana, bloccata in Equador e il suo incredibile viaggio di rientro in Italia

In tempi di pandemia tornare a casa può essere molto difficile, specialmente se si è bloccai in un paese lontano dell’America Latina come l’Ecuador. Ecco la storia di Loredana Ottria, bloccata prima alle Galapagos e poi in qarantena in un ranch sulle Ande, tra voli fantasma, posti di blocco e giorni di totale incertezza

In questi tempi di pandemia in cui stare a casa sembra la cosa più facile, ci sono state situazioni in cui la prospettiva si  è totalmente ribaltata e rientrare a casa è stata un’operazione molto difficile. È quanto è successo a Loredana Ottria, manager della moda con una lunga esperienza in Giappone (è stata, tra le altre cose, il Direttore Retail Marketing di Christian Dior Couture Japan), rimasta bloccata in Ecuador durante un viaggio in America Latina e riuscita a tornare in Italia per un soffio con un viaggio rocambolesco.

Nei giorni in cui proprio il Sindaco di Osaka, Ichiro Matsui, ha definito le donne lente ed indecise – uscita che ha scatenato critiche sia in patria che all’estero – vale la pena dimostrare il contrario. Con il racconto di Loredana: se non fosse stato per la sua rapida capacità di reazione e decisione in una situazione fluida e sempre più complicata, probabilmente oggi sarebbe ancora a Quito, la capitale dell’Ecuador.

Ecco il suo racconto: «Sono partita per il mio viaggio sabbatico quando la pandemia non era ancora diffusa. Avevo lasciato il lavoro e avevo bisogno di tempo per me. Ho fatto le valige col massimo dell’entusiasmo e mai avrei pensato che rientrare a casa si sarebbe stata la cosa più difficile e a tratti  anche pericolosa». Partita dal Piemonte a fine gennaio, Loredana si ferma a Los Angeles per circa un mese. L’attendono poi il Brasile, l’Ecuador, la Colombia, il Messico, il rientro a L.A. e poi di nuovo l’Italia.

In quel momento il Covid-19 è una epidemia circoscritta all’Asia, negli Usa se ne parla poco e anche in Europa sembra un problema relativo. «A fine febbraio, quando sono arrivata in Brasile, l’idea generale era che in Europa si stesse esagerando. I casi in Ameria Latina non si erano ancora manifestati e sembrava di trovarsi in un luogo sicuro. Sono partita per l’Ecuador abbastanza fiduciosa e anche quando sono arrivata alle isole Galapagos, nonostante i controlli fossero severi, il clima era sereno». Passano però pochi giorni e la situazione precipita: la notizia del lockdown dell’Italia insieme a quella dell’impennata dei decessi arriva come un fulmine anche laggiù e per Loredana iniziano i primi problemi. «Ho incontrato solo persone gentili ma quando dichiaravo la mia nazionalità percepivo un blocco negli altri viaggiatori, tanto che mi sono sempre sentita in dovere di “giustificarmi” e precisare che ero fuori dal Paese da oltre un mese e mezzo».

Alle Isole Galapagos e in buona parte dell’America Latina il panico da Covid comincia a farsi sentire. Circolano notizie che chiunque si trovi nelle isole non possa più lasciarle: si tratta di un ecosistema fragile e la prima decisione sembra essere quella di chiuderle per proteggerle. Invece poi i voli per il continente vengono mantenuti perché il governo ecuadoregno vuole sfollare i turisti. Nel frattempo il Paese sta discutendo di chiudere lo spazio aereo e i confini, bloccando chiunque sul loro suolo. Circa a metà marzo, lo fa la Colombia che chiude e impone dure misure di lockdown con pene fino alla carcerazione per chi non rispetta i divieti e lo stesso sta per fare il Perù.

«Fin dall’inizio abbiamo vissuto in un clima di totale incertezza. Era difficile orientarsi e capire cosa fosse meglio fare perché lo scenario cambiava ogni 6-8 ore e ciò che sembrava appropriato qualche ora prima poteva trasformarsi in una decisione-trappola poco dopo. Poco prima di imbarcarmi per il continente, sapendo che la Colombia era chiusa, avevo prenotato un volo per scappare in Brasile e da lì arrivare in Italia. Nella notte i voli che avevo prenotato sono stati cancellati e nessuna compagnia che normalmente collega l’Ecuador col Brasile aveva più alcun volo in essere. Provare a comprare un biglietto in aeroporto a Quito, per qualsiasi destinazione ancora disponibile e “aperta” che facesse da ponte con l’Italia o gli USA pareva a quel punto la soluzione migliore», spiega Loredana.

Nel resort delle Galapagos conosce due famiglie americane nella sua stessa situazione e decidono fare gruppo: non essere soli, specialmente in emergenza, aiuta a tenere duro. Arrivati con l’ultimo volo a Quito, i sei trovano però l’aeroporto buio e completamente chiuso, compresi gli sportelli delle compagnie aeree. I loro call center non rispondono, e le news annunciano che il Paese resterà chiuso, almeno, fino al prossimo 21 Aprile.

Il gruppo si rende conto di essere bloccato e così decide di prenotare via internet un ranch nelle montagne andine, a due ore di macchina dalla capitale: l’idea è quella di allontanarsi da Quito, dove la situazione stava peggiorando a vista d’occhio. «Sembrava un colpo di stato – dice Loredana – il governo aveva imposto il coprifuoco e le strade erano piene di militari e posti di blocco. Faceva paura». Arrivati al ranch grazie ad un passaggio procuratogli dalla proprietaria – una italo-americana che si trovava negli Usa – arriva un’altra doccia fredda: la governante del ranch dice loro che il paesino che li ospita non ha piacere di ricevere stranieri, che ne è “spaventato” e che è dunque meglio che non si muovano da lì e non si facciano vedere in giro. Il Sindaco locale, anche lui preoccupato, presto sarebbe andato a controllare che nessuno di loro si fosse ammalato. «Dopo un primo momento di panico la governante è stata molto disponibile e carina con noi, diciamo però che il primo impatto ci ha un po’ scosso», commenta Loredana.

Nei giorni successivi, capita di tutto: una delle ospiti americane si ammala, ha febbre alta e diarrea. Il Covid non c’entra, è colpa dell’acqua non filtrata che ha bevuto, ma tanto basta per mettere tutti in pericolo, perché se fosse stata scoperta sarebbero stati bloccati e isolati nelle campagne. Passano le ore e la situazione è sempre più confusa. «Controllavo in modo compulsivo i siti internet ma mi sono subito resa conto che ormai erano pieni di voli fantasma perché i siti delle agenzie online non erano aggiornati. I posti andavano e venivano e il rischio era di comprare biglietti e organizzare una partenza per voli inesistenti, spendendo soldi che nella maggior parte dei casi non sarebbero stati rimborsati. Inoltre, ero l’unica italiana del mio gruppo e temevo di restare davvero sola se i miei compagni avessero trovato un volo prima di me. Quando ho contattato il Consolato Italiano a Quito mi hanno spiegato che non c’erano rescue flights organizzati dalla Farnesina per i connazionali in Ecuador perché partivano ancora alcuni voli di linea, e mi consigliavano di continuare a cercare tra quelli. Ho dunque allertato la mia famiglia e gli amici all’estero perché mi aiutassero nella ricerca. Oltretutto ero senza PC, che avevo lasciato a L.A. e il cellulare non sempre reggeva bene internet».

Bloccata sulle montagne andine, Loredana non sa più cosa fare. Finalmente una sua amica a Los Angeles le trova e le acquista l’ultimo posto disponibile su un volo KLM in partenza da Quito per Amsterdam e Parigi, il 21 marzo. L’Ambasciata in Ecuador le conferma la validità della prenotazione e lei tira un sospiro di sollievo. Adesso le si pone un altro problema: arrivare in aeroporto.

Le nuove disposizioni governative impongono rigide regole per la circolazione, permessa a targhe alterne, solo in giorni prestabiliti e solo a coloro in possesso di uno speciale permesso governativo. Grazie a contatti locali conosciuti durante il viaggio, Loredana riesce a trovare la macchina giusta. Saluta gli amici al ranch e parte da sola per Quito. Il giorno prima aveva ricevuto però un’ulteriore cattiva notizia: «Il sindaco di Guayaquil (la seconda città dell’Ecuador) aveva schierato l’esercito sulla pista dell’aeroporto impedendo l’atterraggio degli aerei stranieri. Poiché quel volo era lo stesso che avrei dovuto prendere io, ho capito che, ancora una volta, non c’era assoluta certezza sul fatto che sarei potuta partire il giorno dopo. È stato un momento molto duro». La manovra del Sindaco di Guayaquil solleva molte critiche, dato che i pochissimi voli rimasti arrivavano vuoti e ripartivano pieni e che dunque la sua decisione sembrava non avere un reale obiettivo anti-pandemia.

Il 21 marzo, Loredana trova di nuovo una macchina e superando col cuore in gola ben tre posti di blocco, riesce finalmente ad arrivare all’aeroporto. E riesce, finalmente, a partire. «A partire dalla famiglia americana che, pur avendomi appena conosciuta, quando ha saputo che viaggiavo sola mi ha accolta e protetta, all’amica che ha comprato senza indugio il biglietto, agli ecuadoregni che mi hanno aiutata senza approfittare della mia debolezza: tutti sono stati molto solidali e per me è finito tutto bene. Vorrei che la mia esperienza facesse riflettere però sul tema dei connazionali bloccati all’estero: chi resta solo in momenti difficili, in determinati Paesi, è più esposto a rischi che lì possono diventare disgrazie» conclude Loredana.