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Risposta italiana urgente/ La via è sempre più stretta per riprendere ruolo in Libia

«Mentre Roma discute, Sagunto è espugnata». Parafrasando il commento di Livio all'assedio di Sagunto che scatenò la seconda guerra punica, verrebbe da pensare anche alla attuale situazione in Libia.

Verrebbe da dire che «mentre l'Onu discute ormai da anni su come riportare la pace e da ultimo invoca un cessate il fuoco, in Libia la guerra si fa sempre più aspra» e il traguardo di una Libia unita e pacificata si allontana, anzi oggi appare irraggiungibile.

Del resto nella gestione di tutti i conflitti in atto come in quella della pandemia appare evidente la crisi di un governo multilaterale dei processi mondiali e con esso di tutti gli organismi sovranazionali a cui ci si é affidati per questo scopo. Si riafferma semmai con sempre maggiore forza un ruolo centrale degli Stati nazionali e la scelta di affidarsi alle Nazioni Unite per risolvere la crisi in Libia è fallita. L'attuale marginalità italiana nella vicenda libica dipende anche da questo fallimento e dalla riduzione dell'impegno degli Stati Uniti in quest'area dove ormai sono concentrati solo sui propri interessi centrali e nel combattere le presenze terroristiche.

Le recenti notizie dell'arrivo di mezzi russi a sostegno di Haftar con l'annuncio di una prossima e dura iniziativa militare per rispondere alla controffensiva lanciata da Serraj con il diretto intervento militare della Turchia rendono la crisi libica sempre più grave. Certo, anche in queste dichiarazioni c'è tanta propaganda. La guerra in Libia è combattuta anche a livello mediatico e l'infowar amplifica spesso quello che realmente accade sul terreno. Comunque si combatte e la situazione si sta complicando con sviluppi molto seri. Fino a qualche mese fa quella tra le milizie libiche era una guerra per procura, combattuta con armi e denaro fornito dai Paesi impegnati a sostenere dall'esterno le parti in conflitto.

Il diretto intervento della Turchia a sostegno di Serraj e della Russia a sostegno di Haftar anche con propri mezzi militari cambia lo scenario. Sia per la Turchia che per la Russia, la Libia diventa infatti un altro importante tassello di una più ambiziosa strategia dei due Paesi nel Mediterraneo. Dove entrambi sono determinati a svolgere un ruolo egemone contestualmente ad una politica di penetrazione nei balcani occidentali.

Questo fa pensare che anche in Libia quelle di Russia e Turchia saranno presenze di non breve periodo. Varrebbe quindi la pena riflettere sul perché siamo giunti a questo punto per valutare al meglio come ripensare e rilanciare una iniziativa italiana consapevoli che oggi tutto è più difficile e il sentiero strettissimo. Ma l'importanza del dossier libico per il nostro Paese ci impone di farlo. Senza qui ripercorrere tutte le tappe della crisi, quando pochi mesi fa il Gna ci chiese un ulteriore supporto, anche militare, per fermare l'offensiva di Haftar, una risposta positiva del nostro Paese avrebbe potuto impedire il diretto intervento turco. Molto probabilmente i Paesi che sostengono Tobruk, in particolare Egitto, Emirati Arabi e Arabia Saudita sarebbero stati più motivati a fermare l'offensiva di Haftar.

E noi con la Francia avremmo quindi potuto svolgere un ruolo centrale per una ripresa del dialogo evitando il determinarsi di una situazione che come in Siria rende oggi anche in Libia, Russia e Turchia i dominus della situazione. Per una pregiudiziale rinuncia a ulteriori e certamente onerose assunzioni di responsabilità abbiamo preferito stare al di sopra delle parti, in quella terra di nessuno che tanto più nell'attuale scenario geopolitico non produce risultati. La storia di tutto il dopoguerra ci ha insegnato che anche per promuovere il dialogo tra opposti schieramenti si è molto più forti partendo da una netta e inequivocabile scelta di campo. Come quella che negli anni della guerra fredda ha consentito all'Italia, solidamente radicata nell'Alleanza Atlantica, di dialogare con tutti i Paesi del Mediterraneo.

Ovviamente tanto la storia quanto la politica estera non si può fare con i se. Nell'immediato non ci resta che sfruttare le residue opportunità diplomatiche verso tutti i paesi coinvolti per sperare di riconquistare ruolo. Ma nelle condizioni date una simile iniziativa diplomatica potrà avere chances di successo solo se saprà inserire la questione libica in una più grande strategia italiana nell'area allargata del Mediterraneo. Una strategia chiara, che non escluda ulteriori dirette assunzioni di responsabilità, e nella quale la centralità del Mediterraneo per l'Italia non sia più soltanto una continua evocazione teorica ma trovi davvero posto nella concreta prassi politica e di governo.