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Guerra al Covid, una nuova missione del made in Italy
Cento fabbriche italiane per la sanificazione high-tech

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Qualcuno ricorderà la Diamond Princess, l'enorme nave da crociera al cui comando c'era il capitano italiano Gennaro Arma. A febbraio fu bloccata dal Covid 19 in Giappone con i suoi 3.711 uomini a bordo, 705 dei quali contagiati. Ora quella nave è libera e sanificata anche con l'intervento di tecnologie italiane. A Milano è stato appena riaperto un albergo che ha adottato un impianto di aerazione progettato in Italia che purifica l'aria uccidendo batteri e virus. Lo stadio della città sudcoreana di Incheon, con 20.981 posti, è tornato in attività dopo essere stato sanificato con migliaia di litri di un prodotto nebulizzato da chilometri di tubature montate e governate da un'azienda italiana.

Cosa hanno in comune queste notizie? Fanno capire che l'Italia possiede una sua industria della sanificazione (da non confondersi con le imprese di pulizia) articolata su un centinaio di fabbriche in grado da fare da apripista nel rilancio della nostra economia. 

Tutti noi, infatti, pensiamo alla sanificazione come un'attività elementare affidata a omini in tuta e maschera anti-gas che spruzzano disinfettanti a casaccio. Niente di più sbagliato. In realtà dietro quegli omini ci sono linee di montaggio che fabbricano di tutto, anche apparecchature tecnologicamente all'avanguardia. Si va da motorini dei comuni cannoncini spara-igienizzante, agli archi di plastica che "sanificano" chi vi passa sotto, a lampade UV che uccidono virus e muffe negli autobus ma anche in ambienti enormi come gli alberghi o gli aeroporti, ai dispensatori di ozono o di vapore, a complicatissimi impianti spruzza-gas in grado - come detto - di sanificare strutture ciclopiche come gli stadi.

Non lo sa nessuno ma l'Italia è il terzo produttore al mondo di macchinari per la sanificazione, dopo Stati Uniti e Germania. Imprese industriali note e meno note come Riello, Cifarelli, Idrobase, Sanixair, Bioredox, Rea e tante altre fanno parte di una rete di un centinaio di aziende piccole e medie, tipiche del tessuto produttivo italiano, che fino a febbraio fatturavano circa 2 miliardi per oltre due terzi determinati dall'export e avevano 10.000 dipendenti diretti. Ora però queste cifre stanno lievitando giorno dopo giorno.

Nella trasformazione da Cenerentola in principessa di questo comparto industriale c'è un dato che affascina: come tutte le guerre, anche quella del Covid sarà vinta anche grazie a un salto tecnologico. E per una volta - come vedremo - le aziende italiane dispongono di tecnologie innovative a livello mondiale.

Tutto bene, dunque? Macché. Ad ascoltare Stefania Verrienti segretaria dell'associazione delle imprese del settore, l'Afidamp, c'è da mettersi le mani nei capelli. "Usciamo da un incubo: a marzo con il decreto di chiusura delle aziende hanno bloccato anche le nostre produzioni che erano indispensabili per battere il virus. E' un po' come se avessero chiuso le fabbriche di munizioni durante una guerra - si infiamma Verrienti - Erano sbagliati i codici Ateco ma non c'è stato niente da fare". Non è stato semplice neanche chiedere ai Prefetti di lasciare aperte aziende che pure erano essenziali. "E' che ogni prefettura aveva propri moduli - sospira ancora Verrienti - ne abbiamo dovuto compilare 88 di tipo diverso. Un inferno".

Non è stato facile recuperare l'autogoal. Ma ora le fabbriche italiane della sanificazione viaggiano come schegge e più di qualcuna sta anche assumendo. La domanda è fortissima anche se si segnala una enorme confusione. "Il fatto è - dice un imprenditore del settore - Che finora in Italia c'era scarsa sensibilità al tema dell'igiene. Gli ospedali italiani, ad esempio, prima del Covid registravano moltissimi casi di infezioni da batteri annidati nelle loro corsie. Idem le case di riposo dove troppo spesso non si sanificano gli abiti dei dipendenti che entrano e escono dalle strutture, per non parlare delle palestre che normalmente finiscono per diffondere influenze e raffreddori".

Per uscirne ci sono due strade: da una parte l'adozione di nuovi standard sanitari da parte del ministero della Sanità (qui le raccomandazioni dell'Istituto Superiore di Sanità https://www.iss.it/documents/20126/0/Rappporto+ISS+COVID-19+n.+25_2020.pdf/90decdd1-7c29-29e4-6663-b992e1773c98?t=1589584239939 ) e dall'altra un salto di qualità tecnologico e culturale nell'approccio alla lotta ai virus.

Che cosa significa in concreto? In Italia non possono ancora essere usati per l'uomo prodotti anche a base naturale come il limone che invece hanno ottenuto l'autorizzazione in molti paesi esteri dove, ad esempio, all'ingresso di ospedali o centri commerciali sono disposti degli archi nebulizzanti che spruzzano una nebbiolina anti-virus. Ancora: in altri Paesi sono obbligatori tappeti impregnati di disinfettante all'ingresso delle aziende o dei supermercati. 

Infine, fra le mille soluzioni anti-virus "made in Italy" ne spicca una che merita una segnalazione per il salto tecnologico ma anche culturale e di qualità della vita che comporta. Stiamo parlando dei ripulitori dell'aria con raggi UV che utilizzano la tecnologia della fotocatalisi totalmente naturale. Si tratta di  attrezzi che somigliano alle casse degli stereo dentro i quali c'è una lampada ad ultravioletti che immette nell'aria elettroni di titanio o di materiali analoghi che a loro volta agiscono sulle molecole dell'acqua (H2O) presenti nell'aria e sulle superfici trasformandone una parte in perossido di idrogeno (H2O2), ovvero in acqua ossigenata. La fotocatalisi  consente così di sterminare virus e batteri con un processo naturale che risponde ad una nuova cultura della pulizia che da "periodica" si trasforma in permanente. Evidenti i vantaggi per ambienti grandi (supermercati, uffici, palestre, strutture dove si lavorano alimentari) ma anche nelle famiglie o nelle strutture sanitarie d'ogni livello. E fa piacere sapere che questa tecnologia inventata tanti anni fa dalla Nasa per mantenere asettiche le navicelle spaziali sia stata adottata e riprogettata per i piccoli ambienti da imprese italiane che hanno già iniziato ad esportare i loro prodotti fotocatalitici. Dove? Ma in Cina, naturalmente, l'unico paese al  mondo dove la guerra al Covid è davvero totale.