“Tornare sul territorio”... facciamolo davvero

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“Torniamo sul territorio” è il mantra che ad ogni giro di boa, ad ogni congresso, dopo ogni sconfitta, ma anche dopo le vittorie più importanti ci ripetiamo dal podio delle nostre direzioni ed assemblee nazionali. 

Ma che vuol dire tornare sul territorio?

Da vice ministro dell’Istruzione ho avuto la possibilità e la fortuna in questi 6 mesi di visitare moltissime scuole in tutta Italia, nei piccoli centri e nelle grandi città, di incontrare centinaia di docenti, studenti, dirigenti scolastici, genitori, collaboratori scolastici, amministrativi. Persone che con passione e competenza mandano avanti ogni giorno quell’universo incredibile e complesso che è il sistema dell’istruzione italiano e che comprende circa un milione di dipendenti e quasi otto milioni di studenti (con 16 milioni di genitori). In sostanza almeno un terzo del Paese ogni giorno entra in contatto con le istituzioni sul territorio attraverso la scuola. Visitare le scuole, parlare con chi ogni giorno ci vive e le fa vivere, mi ha fatto capire che come Partito Democratico abbiamo un grande lavoro da fare. 

Mi chiedo: e se provassimo ad immaginare un PD che “torna sul territorio” non soltanto attraverso le assemblee nei nostri circoli - frequentati per lo più da addetti ai lavori già appassionati alle dinamiche dei partiti - ma tornando nei luoghi della quotidianità? Se fosse questa l’apertura di cui abbiamo bisogno? Se fosse questa la premessa per la costruzione del “campo largo” di cui tutti parliamo?

Penso che sia doveroso fare in modo che i movimenti che sono nati in questi mesi, dai Fridays for Future alle sardine passando per quelli più strutturati, abbiano un luogo per confrontarsi col nostro partito senza sentirsi per questo inglobati. Ma sono convinta che questo non sia sufficiente a ridarci un’identità autenticamente popolare. 

Credo che questa esperienza di governo, per quanto anomala e complicata, possa servirci a riallacciare rapporti che nel tempo si erano logorati con mondi che guardano al nostro partito come a un possibile punto di riferimento. Dobbiamo utilizzare i nostri ruoli per testimoniare una vicinanza fattiva alle esigenze concrete delle persone. 

Non limitiamoci ad aspettare che qualcuno risponda a un invito a una delle nostre assemblee, non attendiamoci che sia la cosiddetta società civile a bussare alla porta dei nostri circoli. Usciamo e torniamo noi ad abitare i luoghi della quotidianità. Ci troveremo molti dei nostri militanti che restando a fare da sentinelle, spesso in punta dei piedi, ci hanno consentito di rimanere, anche nei momenti più complicati, il partito più forte del centro sinistra. Quello del quale tutto può e deve ripartire.

Ps: oggi una bimba di otto anni, mentre ci salutavamo dandoci il cinque, mi ha detto “pensavo che un ministro fosse una cosa brutta e lontana. Non è vero”. 

A volte basta davvero poco per fare molto.