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la Repubblica

Siria, Iman morta di freddo a un anno e mezzo: storie di una catastrofe umanitaria

Il padre di Iman Mahmoud Laila ha camminato per diverse ore prima di raggiungere l'ospedale di Afrin, ma era troppo tardi. Anche Abdul, neonato, non è sopravvissuto al gelo, così come un'intera famiglia: accade nei campi profughi di Idlib, l'ultima provincia siriana nelle mani dei ribelli

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ROMA - È in corso un'ecatombe di bambini, che muoiono perché denutriti e perché costretti a dormire al gelo, in rifugi di fortuna. Accade nei campi profughi di Idlib, l'ultima provincia siriana nelle mani dei ribelli, che da settimane è pesantemente bombardata dai caccia di Mosca e dai cannoni del regime di Damasco.

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In quella che secondo le ong è una ormai una catastrofe umanitaria vicina al punto di non ritorno, s'è spenta ieri tra le braccia del padre la piccola Iman Mahmoud Laila di un anno e mezzo. Poche ore prima era morto, anche lui di freddo, Abdul, un neonato di poche settimane soltanto. Del loro triste destino ha parlato l'Osservatorio siriano per i diritti umani. Ma chissà in queste ore quanti altri piccoli stanno facendo loro stessa fine di Iman e Abdul, e dei quali noi non sapremo nulla.

La fuga dai raid russi e dalle granate sparate dai lealisti ha spinto alla fuga centinaia di migliaia di persone, ostacolata da temperature proibitive che raggiungono anche gli 11gradi sotto lo zero. Per scaldarsi i profughi bruciano tutto quello trovano, compresi i copertoni delle auto. Pochi giorni fa, a Kili, nel nord della provincia, una coppia con i loro due piccoli è morta intossicata dal fumo di una stufa accesa per riscaldarsi sotto la loro tenda.
 
Iman s'è dunque spenta all'alba di ieri mentre il padre cercava di raggiungere l'ospedale di Afrin, a poche ore di marcia dalla loro tenda. Nel 2018, la famiglia della piccola era dovuta fuggire dalla Ghouta orientale, alla periferia di Damasco, dopo una feroce battaglia tra i ribelli e le forze del regime. Aveva trovato rifugio in un improvvisato centro per sfollati nel villaggio di Ma'rata, a ovest della città di Afrin, nella provincia di Aleppo, vivendo in una tenda di fortuna: un alloggio insufficiente a proteggere Iman dalle rigide temperature, aggravate dalle forti nevicate di questi giorni.
Per via di una brutta bronchite, Iman ha cominciato a soffrire problemi respiratori, e il padre ha deciso di portarla all'ospedale Al-Shifa di Afrin, distante pochi chilometri. Prima di mettersi in cammino, alle 5 del mattino, l'uomo ha avvolto la figlia in una coperta e l'ha stretta a sé nel tentativo di proteggerla dal gelo. Ma a poco è servito, perché la bimba è arrivata già morta. Secondo quanto hanno dichiarato i medici, la piccola è deceduta per assideramento. Pochi giorni prima, come lei è morto congelato anche il piccolo Abdul Wahhab Ahmad al-Rahhal, che aveva poche settimane, e che era anche lui in fuga assieme ai genitori dall'offensiva lealista.
 
Secondo l'ultimo rapporto dell'Onu, dal primo dicembre sono più di 800mila le persone che hanno abbandonato i loro rifugi in seguito all'escalation di violenza delle ultime settimane nelle province di Idlib e Aleppo. "E' la peggiore e la più imponente migrazione degli ultimi 25 anni", ha dichiarato ieri il capo del Norwegian Refugee Council, Jan Egeland. La cadenza dell'esodo s'è accelerata nelle ultime due settimane per via della progressione delle truppe lealiste, che hanno appena sfondato fino all'autostrada M5, punto strategico tra Damasco e Aleppo.
Ora, oltre l'80% degli sfollati sono bambini e donne. Inoltre, sui campi profughi, in questi giorni è caduta un'abbondante nevicata e i campi allestiti vicino alla frontiera turca sono sovrappopolati, perciò chi arriva in questi giorni è spesso costretto ad arrangiarsi come può.

Per molte famiglie, infine, non c'è nessun luogo né dove rifugiarsi per trascorrere la notte né dove ripararsi dalle bombe e dai razzi che cadano dal cielo. Secondo l'Organizzazione mondiale della sanità, nella provincia ribelle dallo scorso dicembre 72 ospedali e centri sanitari hanno dovuto sospendere le loro attività perché bersagliati dai raid dei caccia di Mosca.