la Repubblica
Quando la storia di un uomo è come una "Città sommersa"
Marta Barone ha scritto un romanzo su suo padre, militante di estrema sinistra nella Torino degli anni Settanta e finito a processo per banda armata. Ma non è un memoir: "Mi piace definirlo una fantasmagoria, una serie di illusioni ottiche"
"Una fantasmagoria su mio padre”, così Marta Barone definisce il suo libro Città sommersa, storia di L.B., giovane contestatore nel ’68 e, in seguito e per anni, militante a Torino di Servire il Popolo, partitino verticista abbandonato per il fallimento di una speranza e per il disgusto provocato da un capo narcisista e fanatico. Era un personaggio avventuroso L.B. medico e sognatore, un uomo immerso in un decennio segnato da azioni estreme e tragiche, ma anche circondato da ragazze e ragazzi animati da ideali di giustizia e di uguaglianza, pronti a sacrificare desideri e benefici personali in nome della collettività. Lui era “un medico, un operaio e un agitatore” e “una personalità inafferrabile e carismatica” sottolinea sua figlia. Fu processato a cavallo degli Ottanta per banda armata perché accusato di aver curato un ferito di Prima linea e quindi di far parte di quel gruppo terroristico, salvo poi essere completamente prosciolto da ogni addebito e sospetto. L.B fu, insomma, uno fra i tanti che, in quel periodo, finirono nel calderone accusatorio “dell’emergenza”. Con un reato, quello di banda armata, attribuito a migliaia di giovani. Esistenze mai raccontate, rimaste schiacciate tra due tragici poli: da una parte le vittime (tante) degli agguati, dei ferimenti e degli omicidi che insanguinarono quegli anni bui. E, dall’altra, i terroristi con le loro colpe, responsabilità e vite distrutte e perdute. Loro, quei giovani, sono stati la “Terza fascia”, quella alla quale apparteneva L.B., quella narrata da Marta Barone che, per farlo, ha letto atti processuali, ascoltato testimoni, indagato tra luoghi ed archivi. Molti di quei giovani fecero scelte di abnegazione e spesso di povertà oggi incomprensibili, per stare dalla parte degli ultimi in una realtà dalle mille sfumature e quasi senza confini, dove lo spirito di gruppo e di collettività poteva coinvolgere fino a confondere “quelle sfumature”, tanto da non far vedere che, intorno a quel variegato brodo di coltura, stava andando in scena la drammatica stagione del terrorismo.
Città Sommersa è il romanzo di un uomo immerso in questa “Terza fascia”, con una storia rivisitata “con amore e pudore” dalla figlia, l'autrice, ormai adulta che tanto poco aveva conosciuto suo padre. Racconto interessante e dolente di appartenenze e di famiglie con, sullo sfondo, una città “sommersa”, Torino, in quegli anni luogo simbolo di lotte quotidiane vissute con la speranza di un mondo migliore. Sogno che, per alcuni, presto si trasformò in un delirio di violenza “necessaria”, per poi finire in delusione e tragedia.
Città sommersa non è un romanzo della realtà e neanche un memoir. Marta Barone precisa il senso della fantasmagoria su suo padre: “Una serie di immagini, illusioni ottiche che compongono per frammenti una creatura mai del tutto conoscibile, che si muove in un mondo che ormai ha smesso di esistere, ma che contiene ancora per il nostro presente una serie di domande violente, tragiche e scandalose che sono rimaste senza risposta”.
Che cosa l'ha spinta a ricostruire la storia di un padre, L.B.?
“A un certo punto nel libro cito una frase che Flaubert aveva scritto in una lettera: "Non si sceglie mai il proprio soggetto". Quando l'avevo letta mi era sembrata assurda. Ho poi scoperto che aveva ragione: quando mio padre è morto, nel 2011, non avrei mai pensato di scrivere di lui perché mi sembrava che la sua persona non avesse niente di letterario. Solo anni più tardi, quando per caso ho ripreso in mano la memoria difensiva di un processo per banda armata a cui era stato sottoposto negli anni Ottanta, per poi essere completamente prosciolto (l'accusa era di aver curato un ferito di Prima linea e quindi di far parte dell'organizzazione terroristica), ho trovato in quelle pagine, che pure parlavano di un evento di cui sapevo vagamente e a cui non mi ero mai interessata, qualcosa di estraneo, un personaggio interessante e sfuggente che non conoscevo e si muoveva in una città che era la mia ma allo stesso tempo era sconosciuta e oscura. Solo col tempo, però, parlando con molte persone che avevano conosciuto L. B. e rendendomi conto che il fascino di quella storia non era solo il processo ma stava sia nei fatti, da Valle Giulia nel '68 alle lotte operaie degli anni Settanta a Torino, sia nello stesso mistero della sua personalità inafferrabile e carismatica, delle scelte fatte, degli incredibili arzigogoli della sua esistenza di medico, operaio, agitatore, uomo. Ho quindi capito che desideravo scriverne, non appena avessi trovato la forma giusta per dare coerenza a tutto quel materiale - ossia non una banale biografia e tantomeno un'agiografia".
Lei indaga tra testimonianze, archivi e atti processuali; ne viene fuori il ritratto di un'epoca intrecciata di illusioni e tragedie, reale per chi allora l'ha vissuta, ma lontana e incomprensibile per quasi tutti gli altri. Qual è oggi il suo sguardo su quegli avvenimenti?
“Dopo una lunga elaborazione, che ha coinciso naturalmente con le scoperte fatte nel corso degli anni, le letture, gli incontri con le persone, mi sono resa conto che c'erano centinaia di sfumature persino nei partiti più manichei, chiusi e moralistici come Servire il popolo, in cui mio padre ha militato per anni per poi abbandonarlo, come quasi tutti, per disgusto del culto del capo e perché si rendevano conto che ormai era un dispositivo politico morto. In queste persone, che hanno fatto spesso scelte che a noi appaiono folli, scelte di povertà, abnegazione totale alla causa e vita faticosissima al servizio di quello che oggi non viene più chiamato proletariato (persone per cui a un certo punto un personaggio del mio libro mi chiede di avere pietà, di non essere solo ironica e "contemporanea" sul loro destino spesso infelice), non ho mai visto crudeltà, pazzia o sogni sovietici, ma il desiderio forte di costruire una società nuova, un desiderio di giustizia per tutti e di riparazione delle ferite della fetta di mondo in cui vivevano. C'era di certo una spinta totalizzante che adesso non esiste più e anche, credo, uno spirito di gruppo autentico. Fra compagni, nel vero senso della parola. Non ho assolutamente scritto questo libro con spirito politico-edificante né riparatorio, ma mi piace l'idea di aver raccontato anche queste vite, oltre a quelle delle vittime del terrorismo e dei terroristi, che sono rimaste quasi le uniche narrazioni di quegli anni”.
Lei è una consulente editoriale, come definirebbe "Città sommersa": un romanzo della realtà, un memoir d'inchiesta o qualcos'altro?
"Non lo considero un memoir e non lo considero un'inchiesta. Città sommersa è tante cose insieme, ha una doppia natura: la trama apparente della ricerca su mio padre e della sua biografia, che in realtà va continuamente avanti e indietro, e la sottotrama, la seconda città, che è la mia vita ed è innervata di riflessioni sulla scrittura, sul tempo, sulla memoria, sulle lacune impossibili da colmare, sull'identità e il mistero inscalfibile dell'altro da noi, sull'esperienza non nel suo uso sciatto di "esperienza vissuta" ma nel suo significato originario di "passare attraverso". E queste due anime si intrecciano ininterrottamente, scivolano l'una nell'altra senza soluzione di continuità, e allo stesso modo la cronaca del tempo, dalle lotte per la casa agli episodi tragici come quello dell'Angelo Azzurro, entra nel racconto perché è stata la vita di mio padre e della città, e poi ciò che l'ha spezzata - il terrorismo e l'accusa di farne parte. Troppo di questo libro è desiderio, sogno, illusione, ricordo irraggiungibile o limite perché si possa dire sia un "romanzo della realtà". Mi piace definirlo una fantasmagoria su mio padre: una serie di immagini, illusioni ottiche che compongono per frammenti una creatura mai del tutto conoscibile, che si muove in un mondo che ormai ha smesso di esistere ma che contiene ancora per il nostro presente una serie di domande violente, tragiche e scandalose che sono rimaste senza risposta”.