Che fine ha fatto il pane ben cotto? Günther Karl Fuchs esamina il fenomeno su Papille Vagabonde
by Redazione Il Fatto AlimentareCapita spesso di trovare in vendita solo pane pallido e poco cotto. Su Papille Vagabonde Günter Karl Fuchs spiega perché questo fenomeno, che ha radici sia nelle preferenze dei consumatori che nelle pratiche di alcuni panettieri, è sempre più diffuso.
Un lettrice vicentina chiede “come mai dai panettieri si trova sempre il pane poco cotto? Ho nostalgia del pane di una volta con la sua bella crosta dorata ma sembra impossibile trovarlo!”. Basta restare mezz’ora in una panetteria o in fila al banco del pane al supermercato per sentir dire: “tre panini non troppo cotti per favore”, “il filone di pane meno cotto che c’è grazie” oppure “una baguette francese ma poco cotta per favore”. Più o meno l’80% delle richieste ascoltate dal fornaio.
Ci sono più ragioni che spiegano queste scelte. Alcune sono tecniche legate alla produzione, altre invece riguardano i gusti dei consumatori. Fermo restando che personalmente sono per il pane cotto bene, perché la cottura migliora la digestione, valorizza la buona qualità delle farine, del lievito e della lavorazione.
1) La masticazione
I dati statistici sulla popolazione ci fanno notare che l’Italia è un paese vecchio, nel senso che la maggior parte della popolazione è ultracinquantenne. Si tratta anche del target che più ha l’abitudine di consumare pane durante il pasto, ma allo stesso tempo ha problemi legati alla masticazione. Per questo preferisce un prodotto più morbido, che crea meno difficoltà in bocca (basterebbe cambiare varietà, ma questo è un altro discorso).
I nuovi gusti
La cultura del pane è legata alla cultura di generazioni datate. Per i più giovani, il pane è quella cosa morbida che sta sopra e sotto l’hamburger. Il riferimento è ai panini morbidi (burger bun) che non hanno bisogno di essere masticati molto. L’esatto contrario della cultura del pane. Ci sono anche tanti giovani che si avvicinano ai prodotti tradizionali, ma sono un numero ancora limitato. Ci sono poi sempre meno panettieri con un forno che preparano ogni giorno il pane. In molti negozi si vende un prodotto riscaldato partendo da un semilavorato surgelato, oppure proveniente da laboratori industriali che lo recapitano in negozio. Il tempo di cottura incide anche sui costi e un risparmio di energia a fine giornata e a fine mese vuole dire un minore costo e un maggiore ricavo.
Esistono poi alcune convinzioni discutibili. La prima è che il pane “crudo” farebbe ingrassare meno rispetto quello ben cotto. Non c’è scritto da nessuna parte e non esistono studi in merito, tuttavia questa convinzione è molto presente.
Qualcuno sostiene che il pane cotto farebbe venire il cancro. Il riferimento è alla formazione di acrilammide, una molecola potenzialmente cancerogena che si forma quando i cibi ricchi di zuccheri sono cotti ad alte temperature. Tuttavia la questione riguarda più altri alimenti come le patatine fritte, che sono responsabili del 49% dell’esposizione di acrilammide di un adulto e il caffè (34%), solo terzo il pane morbido (23%). Segue la categoria dei biscotti, cracker e pani croccanti (crostini, ecc.).
Va detto che considerando i consumi attuali di pane fresco è molto difficile superare i livelli di d’esposizione di acrilammide fissati dall’Efsa. Per quanto riguarda il pane questa sostanza si forma solo sulla crosta: più è dorata più c’è acrilammide. A questo punto se proprio si vuole, piuttosto che eliminare il pane ben cotto dalla dieta conviene grattare la crosta e tenere la mollica.
Per quanto riguarda i consumi va detto che la quantità di pane fresco venduto è progressivamente diminuita negli anni, ma al contrario sono in crescita i consumi di: cracker, taralli, focaccine, grissini, prodotti confezionati e ultra-trasformati. La conclusione su cui riflettere è che è aumentato il consumo di succedanei del pane più ricchi di sale, grassi e calorie.
Günther Karl Fuchs – Papille Vagabonde