El Salvador, il presidente contro la Costituzione per combattere le "Pandillas"

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ASSOCIATED PRESS

Domenica scorsa, forze speciali della polizia e dell’esercito sono entrate nel parlamento di El Salvador assieme al presidente Nayib Bukele, con lo scopo di esercitare pressione sui deputati affinché approvino un prestito di 109 milioni di dollari necessari alla lotta intrapresa contro le “pandillas”, le formazioni criminali che taglieggiano l’economia e controllano ogni traffico illecito, facendo del Salvador uno dei paesi più violenti al mondo.

Bukele, in carica dallo scorso giugno, non è nuovo nel mondo della politica del piccolo stato centroamericano, essendo stato sindaco della capitale con i voti del Frente Farabundo Martí para la Liberación Nacional (FMLN), la formazione dell’ex guerriglia che ha governato El Salvador alternandosi con la destra di ARENA.

Con l’andar del tempo è entrato in conflitto con il FMLN, fino a presentarsi alle elezioni presidenziali con la formazione GANA, che l’ha portato alla vittoria sulla scorta di una campagna condotta sui social, tesa a far breccia sul bisogno di ordine e sicurezza molto sentito nel Paese.

Le cifre ufficiali per lo scorso mese di gennaio danno un totale di 119 omicidi con una media di 3,8 al giorno, la qual cosa l’ha reso il meno violento dalla firma degli accordi di pace che hanno messo fine alla lunga guerra civile nel 1992.

Quando Bukele ha assunto il potere, nel Paese si registravano 9,2 omicidi al giorno, e il risultato di gennaio pare essere stato reso possibile dalla sua decisione di dispiegare polizia e esercito come deterrente al crimine organizzato. Il prestito che ha dato il via alla contesa con l’assemblea legislativa è necessario per far partire la terza fase del Plan Control Territorial, ritenuto dal governo indispensabile per la lotta alle bande criminali.

Pur avendo ottenuto i voti necessari alla sua elezione ed essendo riuscito ad archiviare un bipolarismo tra FMLN e ARENA che durava da 28 anni, Bukele non ha ottenuto la maggioranza degli 84 seggi che compongono l’assemblea legislativa, e deve quindi fare i conti con la mancanza di un supporto a livello parlamentare. Domenica scorsa, con la sceneggiata messa in opera accompagnato da militari armati, ha voluto fare a suo modo pressione su deputati che non si erano presentati per votare il prestito, accusandoli di essere in combutta con le “pandillas” e di boicottare la sua politica di sicurezza.

Dal canto loro i deputati hanno gridato all’autogolpe spiegando di non aver potuto votare il provvedimento, essendo poco chiari i criteri di utilizzo dei soldi che sarebbero dovuti arrivare dal prestito. Mentre organismi sovranazionali come Amnesty International e Human Rights Watch hanno denunciato la condotta di Bukele, accusato di riportare il Paese agli incubi del passato. Una denuncia che è giunta persino dal portavoce della Segreteria di Stato USA che ha richiamato il presidente salvadoregno al rispetto della costituzione e della divisione dei poteri.

Per ultimo è giunta la messa in guardia della Corte Suprema di Giustizia che gli ha imposto di non utilizzare la forza di sicurezza in “attività contrarie ai fini costituzionali stabiliti”, costringendo lo stesso presidente ad assicurare che rispetterà l’ordine per quanto non lo trovi d’accordo.

Tutto ciò nell’intento di stemperare le tensioni generate dalla sua chiamata all’insurrezione contro l’assemblea legislativa, alla quale si è lasciato andare domenica davanti ai suoi sostenitori giunti a dargli man forte, in una drammatizzazione degna di una novella di Gabriel García Márquez.

Un tentativo di addolcire il tono della sua prima reazione, quando Bukele, campione dell’antipolitica, aveva twittato che “il sistema si auto protegge e così le cose continuano uguali…”. Uscita che gli aveva guadagnato la censura da parte di numerosi organismi internazionali e l’accusa di non rispettare le più elementari regole democratiche.

Se le ultime mosse del presidente salvadoregno registrano un mezzo passo indietro, va pure detto che esso si accompagna a un invito alla Corte da parte sua affinché tenga in considerazione gli attuali interessi della repubblica in tema di sicurezza, attraverso un’interpretazione che consenta l’adattabilità della Costituzione alla realtà del momento, senza sminuire i poteri conferiti ai ministri in carica.

Sarà interessante vedere se e fino a che punto la Corte potrà accogliere l’appello di Bukele. Come quest’appello non sia in realtà un invito a travalicare i poteri stessi conferiti all’alto tribunale, e, in caso decida di esprimersi al riguardo, come riuscirà a conciliare gli interessi attuali del Paese con il rispetto dell’autonomia dei poteri sanciti dalla carta costituzionale.