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(afp)

la Repubblica

Prove per le Olimpiadi, il coronavirus spaventa Tokyo: "I corridori cinesi si ritirino dalla maratona"

A due settimane dalla gara podistica internazionale,  "l'invito" ai residenti della Repubblica popolare (cinesi e non) a non partecipare. In Giappone i casi di contagio sono una trentina, esclusi quelli a bordo della Diamond Princess

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PECHINO – Ci mettono tutta l’ossequiosa formalità di cui la cultura giapponese è capace gli organizzatori della maratona di Tokyo: "Vorremmo sinceramente richiedere ai corridori che risiedono in Cina di rinviare la loro partecipazione volontariamente", dice il messaggio, pubblicato oggi sul sito della corsa. Solo che a leggere un’altra frase dello stesso comunicato, l’educata richiesta "volontaria" di restarsene a casa si trasforma in una specie di fatto compiuto: "Il Giappone smetterà di rilasciare visti per i residenti in Cina, così che non avranno altra scelta che cancellare il viaggio".

Si tiene fra due settimane la maratona di Tokyo, domenica primo marzo, in piena crisi da coronavirus. E se le autorità giapponesi la vogliono comunque far correre, anche per non alimentare paure rispetto alle Olimpiadi della prossima estate, stanno facendo di tutto per renderla a prova di contagio. Mica facile, visto che nel frattempo i casi nel Paese stanno aumentando, insieme al panico dei cittadini. Nei giorni scorsi gli organizzatori hanno annunciato una serie di precauzioni straordinarie: disinfettante per le mani in tutte le aree pubbliche e distribuzione di mascherine prima e dopo la corsa. Non è difficile immaginare che qualcuno nel gruppo le userà durante i 42 chilometri. Ma evidentemente la paura è che tutto ciò non basti, così ecco "l’invito" ai residenti della Repubblica popolare, cinesi e non, a non venire. Un messaggio che per certi aspetti va persino oltre alle misure ufficiali annunciate dal governo Abe, che ha vietato l’accesso solamente a chi arriva dalle due province più colpite, Hubei e Zhejiang.

Ma il livello di apprensione in Giappone sta salendo a vista d’occhio. Da una parte c’è il focolaio tra i passeggeri della nave da crociera Diamond Princess, che il governo ha cercato a lungo di tenere in quarantena a bordo, rassegnandosi poi a far sbarcare almeno gli anziani e chi dorme nelle cabine senza balcone. Dall’altra preoccupano i nuovi contagi registrati nelle ultime ore sulla terra ferma, persone che non hanno avuto legami diretti con la Cina. È il caso della donna 80enne morta ieri non lontano da Tokyo, prima vittima in Giappone del coronavirus, così come del dottore 50enne nella prefettura di Wakayama e di un 20enne in quella di Chiba.

Il ministro della Salute Katsunobu Kato ha detto che i dati non suggeriscono una epidemia in corso. Esclusi quelli della Diamond Princess, che il governo non considera "locali", i casi confermati in Giappone sono al momento una trentina. Ma le autorità non riescono a capire da dove arrivino questi ultimi. Inevitabile che l’incertezza si proietti verso le Olimpiadi che scatteranno il 24 luglio a Tokyo. Manca tanto, cinque mesi, ma non così tanto se si considera il periodo di preparazione e di ambientamento degli atleti.

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Nei giorni scorsi World Rugby ha deciso di spostare a ottobre dei tornei previsti ad aprile a Hong Kong e Singapore. Il solo pensiero è un incubo per il governo giapponese. Ieri il presidente del Comitato olimpico Yoshiro Mori ha ribadito "con chiarezza" che "non c’è alcuna ipotesi di cancellare o posticipare i Giochi". Intanto la maratona di Tokyo sarà piena di mascherine. E senza podisti residenti in Cina.