Parigi non è solo PSG
Reportage dai quartieri generali del Red Star FC.
by Nikhil Jha
Io sono diverso.
Io sono la strada.
[…]
Io sono un calciatore.
Io sono un banlieusard.
In una foto in fondo alla sala d’esposizione Franck posa in piedi di fronte a un campo da calcio, con un palazzo dall’architettura anni ’70 di forma triangolare sullo sfondo. È avvolto in una bandiera francese, portata come un mantello: l’obiettivo dichiarato della fotografa che l’ha immortalato, Henrike Stahl, è quello di nobilitare la banlieue parigina attraverso accessori che rendano i suoi abitanti sovrani di un regno. “Mio re, mia regina” è il nome della collezione.
Franck è un calciatore giovanile del Red Star, la squadra professionistica più antica di Parigi, attualmente la terza realtà della capitale francese. Il Red Star milita infatti in National, il terzo livello del calcio francese dopo Ligue 1, dove gioca il Paris Saint-Germain, e Ligue 2, nel quale milita il Paris FC di Jérémy Ménez.
Insieme ai compagni, Franck ha partecipato alla stesura dei testi che accompagnano le collezioni fotografiche della mostra – da cui è tratta la citazione all’inizio del pezzo – all’interno dell’iniziativa organizzata Red Star Lab, il centro culturale della società rivolto ai suoi giovani tesserati, in maggioranza provenienti dal 93esimo dipartimento, quello a nord di Parigi – storicamente la periferia più complicata dell’area. Marie, la giovane commissaria d’esposizione, mi racconta: «I ragazzi hanno redatto i testi e organizzato insieme a me le luci, gli spazi e tutti gli aspetti dell’esposizione. Non è comune per una squadra impegnarsi in questo modo, nei confronti dei suoi giovani».
Plus que du foot, “più che calcio”, amano dire al Red Star, facendo un po’ il verso al Més que un club del Barcellona. Un’ispirazione extra-calcistica che viene da lontano, quando il futuro primo presidente della federazione calcistica francese e ideatore della Coppa del Mondo Jules Rimet fondò, insieme ad amici e parenti, il Red Star Club français. Il nome anglofilo – indipendente dall’omologo serbo di molti anni più giovane, la Stella Rossa di Belgrado – spiccava tra i vari “Stade”, “Racing” e “Club Athletique” più in voga all’epoca. L’origine non è tutt’ora chiara, ma l’aneddoto per cui la governante inglese di casa Rimet, Miss Jenny, avrebbe esclamato in mezzo all’assemblea che stava dibattendo sul nome da adottare “Red Star!” – dal nome della compagnia impresso sull’ultimo biglietto utilizzato per attraversare la Manica, trovato per caso nella borsa – è talmente affascinante da essere ormai diventata la versione ufficiale accettata e riproposta dal club.
Il Red Star nasce come polisportiva, com’era consuetudine in Francia a cavallo dei due secoli, in un caffè all’ombra della neo-eretta Torre Eiffel, affacciata anche sul primo campo da gioco della squadra, sito nell’antistante Campo di Marte.
Foto di Geoffroy van der Hasselt / AFP.
Successivamente la squadra è costretta a spostarsi prima in zona Grenelle, e infine a Saint Ouen, 93esimo dipartimento, nella banlieue nord di Parigi, già nel 1909. Alle radici dell’ultimo trasloco c’è lo sfratto da parte dei proprietari dell’area dovuto alla costruzione, proprio sul terreno di Grenelle, del nuovo “Velodromo d’Inverno” dedicato al ciclismo, vero sport nazionale dell’epoca. Un luogo, quello del Vélo d’Hiv, che sarebbe diventato celebre anni dopo per il più grande rastrellamento di ebrei mai avvenuto all’interno della capitale, nel 1944.
Fermo, tra passato e presente
A Saint Ouen il Red Star inizia a mutare pelle, trasformandosi lentamente da club parigino “in trasferta” a espressione autentica di Panam, la locuzione che descrive non solo Parigi, ma anche l’insieme dei comuni che la circondano, spesso messi in ombra dalle luci risplendenti della capitale. È il Red Star a inaugurare lo “Stade de Paris” appena costruito in rue Bauer, via dalla quale prenderà il nome che tutti oggi utilizzano. Uno stadio all’inglese, vittoriano, “il nostro Craven Cottage” raccontano i tifosi: tribune vicine al campo, protette da tettoie sorrette da putrelle in ferro che complicano anche la visuale in certi punti. Il fascino lascia spazio ad altre disfunzionalità evidenti. La tribuna Ovest è ricoperta d’erba, mentre uno dei quattro lati è dedicato al Pianeta Z, il palazzo a forma triangolare davanti al quale avevamo trovato Franck, avvolto nella sua bandiera francese. A restare completamente agibile, dunque, è soltanto la tribuna Est, il cui angolo popolare è dedicato a Rino Della Negra.
Figlio di migranti veneziani nella vicina Argenteuil, Della Negra è un giovane giocatore del Red Star quando nel 1943 decide di ingrossare le fila italiane della Resistenza nel gruppo “Franchi Tiratori Partigiani – Mano d’Opera Immigrata”, forza impiegata in centinaia di azioni di disturbo contro l’invasore. La militanza latitante di Della Negra durerà solo un anno, prima che la giovane promessa del calcio venga catturato dai nazisti e poi fucilato non lontano da Parigi. La sua esperienza al Red Star si esaurisce nel giro di pochi mesi prima di abbracciare le armi, ma è proprio alla squadra che Della Negra dedica uno degli ultimi pensieri: “Invia un saluto e l’addio al Red Star”, recita la lettera indirizzata al fratello prima dell’esecuzione. Il n’y a che Rino (“c’è solo Rino”) contraccambiano i tifosi per omaggiarlo durante le partite al Bauer.
Lo stadio, però, non vive di sola atmosfera e in terza categoria mancano soldi per ammodernare la struttura, tanto che nelle sporadiche apparizioni in Ligue 2 la squadra è costretta a trasferirsi a Beauvais, 75 km da Parigi. Una violenza all’identità della squadra, che molti tifosi non sono disposti a tollerare. «Speriamo di non essere promossi, se deve significare andarcene da qui», mi dice Felix, giovane sostenitore della zona. E non è l’unico, sono in tanti a fargli eco. In società ormai l’hanno capito: il Bauer viene forse ancora prima del Red Star, e infatti a Beauvais l’affluenza crolla, per cause che superano gli ostacoli logistici. In zona, la grande speranza sono le Olimpiadi del 2024, assegnate a Parigi, che potrebbero dare un impulso insperato. Un primo passo, intanto, è l’accordo fresco di settimane tra il comune di Saint-Ouen-Sur-Seine e la società, che prevede l’ammodernamento dell’impianto a uso e consumo di una eventuale Ligue 2: spogliatoi, telecamere di sicurezza, migliore impianto di illuminazione, manto erboso naturale. C’è da lavorare, ma la volontà delle parti in causa sembra sincera.
Foto di Geoffroy van der Hasselt / AFP.
Se l’ammodernamento del Bauer appare ormai realtà, il sogno è un vero colpo di mano che prevede non solo opere di maquillage, ma un vero e proprio stravolgimento dei connotati di questo luogo storico, attorno al quale si è sviluppato nel corso del Novecento un intero quartiere. Il collettivo di tifosi Red Star Bauer ha pronto da anni un intero progetto urbanistico, che prevede l’allargamento dello stadio senza implicare la sua distruzione. Questo potrebbe permettere di accompagnare il Red Star al Bauer eventualmente in Ligue 2 e, chissà, forse anche più su; al momento in quella direzione ancora nulla si muove. Quel che è certo è che qualcosa bisogna pur fare: «La prima volta che sono venuto io era più o meno tutto uguale, eccetto che dall’altra parte c’era una tribuna e non erbaccia», mi racconta Robert. Lui ha 88 anni, e quella prima volta è datata 1945.
Nel frattempo, parecchia acqua è passata nella vicina Senna che costeggia il confinante e difficile comune di Saint Denis, dopo aver raccolto nel suo percorso i fasti della capitale. Negli anni ’40 il Red Star era al vertice del calcio francese, vincendo nel ’42 la sua quinta Coppa di Francia, sinora l’ultima. Ma la guerra sconvolse le gerarchie, e il Red Star alla ripresa non ritornò più agli stessi livelli, iniziando a volteggiare tra le categorie e salutando per l’ultima volta la Ligue 1 nel 1975. Da allora seconda e terza serie, non raramente anche livello regionale, prima di una notevole risalita che lo portò a sfiorare di nuovo la promozione al massimo livello, nel 2016. Quest’anno la squadra combatte in National con l’obiettivo esplicito del salto di categoria, obiettivo ancora raggiungibile grazie a una striscia di 8 vittorie in 9 partite nella fase centrale della stagione.
La storia del Red Star non è fatta solo di nostalgia per un passato glorioso, ormai sbiadito, ma anche di grandi giocatori. Tra questi Pierre Chayriguès, in squadra negli anni ’10 e ’20, prima vera star del calcio francese. Chayriguès interpretava il ruolo di portiere in maniera rivoluzionaria: porta per primo nella capitale i tuffi, le respinte con i pugni, le uscite fuori dalla linea di porta. Chayriguès è anche il primo portiere di professione in Francia. O quasi: per il professionismo in senso stretto bisognerà attendere fino al 1930. Prima di quell’anno i giocatori venivano (profumatamente) pagati in nero, anche attraverso intestazioni di attività commerciali – è il cosiddetto amateurisme marron, cioè il “dilettantismo illecito”. Fu grazie a questi finanziamenti che Chayriguès rinunciò a cuor leggero ai “ponti d’oro” che gli venivano offerti dal Tottenham.
Un’altra leggenda del Red Star è Nestor Combin, un passato al Torino e al Milan, arrivato al Red Star sul finire della carriera per la presenza dell’allenatore amico José Farias; senza dimenticare Helenio Herrera, approdato in Marocco – allora colonia francese – al seguito della famiglia dall’Argentina e in seguito al Red Star durante la seconda guerra mondiale. Da calciatore non ebbe, però, lo stesso impatto che ebbe poi da allenatore di Barcellona e Inter.
Il venerdì, in campo
Ma il Red Star è realtà anche oggi. E questo, in sostanza, significa calcio. Al Bauer il rito è sempre lo stesso. Si comincia qualche ora prima del match (tipicamente il venerdì sera), dall’altra parte della strada, dentro L’Olympic, punto di ritrovo della tifoseria. «Quando si va a Beauvais qui ci vengono soltanto i tifosi che si rifiutano di spostarsi», raccontano i proprietari in un trafiletto di giornale attaccato alla porta.
Con il Red Star il venerdì, invece, è una festa. Il piano è semplice: birra finché ce ne sta, carte e dadi. Il salone è tappezzato di adesivi che non mancano di ricordare la natura profondamente antirazzista e antifascista della tifoseria, insieme alle amicizie consolidate con altri gruppi organizzati. Dentro c’è anche qualcuno che non asseconda lo spirito minimalista di Félix, prevedendo futuri successi: «National, Ligue 2, Ligue 1, Champions League!», urla un tifoso, entusiasmato dalla birra a prezzi che, nella zona di Parigi, sono favolosi. Un altro mi dice: «Io tifo Grenoble, noi siamo gemellati con il Red Star. Ah, e con il Foggia»
Foto di Geoffroy van der Hasselt / AFP.
Il Bauer è aperto a tutti: un posto in tribuna Della Negra costa 7€. «Non vogliamo che nessuno non possa venire a vedere il Red Star perché non può permetterselo», mi raccontano dalla società. Non è però solo una questione di prezzi, è l’atmosfera di questo vecchio stadio che attira tutti, dai tifosi più caldi ai semplici simpatizzanti. Quando gli amici di vecchia data di Nicolas, tifosi del Saint-Etienne, vengono a trovarlo per un weekend, il salto al Bauer non manca mai.
Sul campo, la rivalità sportiva è tutta con il Paris FC, emanazione diretta della municipalità cittadina, fondata nel 1967 proprio perché il Red Star, con quel suo nome anglofilo, e lo Stade Saint-Germain, con il suo richiamo diretto alla periferia, non potevano ergersi a rappresentare il secondo agglomerato urbano d’Europa. Il progetto non andrà molto lontano: complice una fusione, lo Stade Saint-Germain prenderà il nome di Parigi, mentre al Paris FC resteranno le briciole di una città in cui non sembra esserci spazio per due grandi.
Non è un’eccezione in Francia, basti pensare alle sue altre grandi città – Marsiglia, Lione, Lilla. Nessun vero derby, nessuna rivalità stracittadina. «Questione di cultura», mi dice Nicolas. D’altronde, mi fanno notare, in tutta la Francia un solo giornale parla solo di sport a livello nazionale, l’Equipe. Lo sport penetra semplicemente meno nella vita delle persone rispetto a quanto accade negli Stati Uniti, ma anche in altri paesi europei.
Per il Red Star, l’opposizione con il PSG è puramente ideologica. Il Qatar contro la periferia, il Parco dei Principi contro lo sgangherato Bauer. Non è retorica, da queste parti la vivono così. Ma i due estremi, in realtà, non si escludono come potrebbe sembrare da fuori: «Io tifo PSG, sostengo tutto quello che rappresenti Parigi», mi racconta Félix. «Anch’io tifo PSG, ma da prima che arrivassero i soldi», ci tiene a precisare Nicolas.
Le due realtà sembrano convivere pacificamente, per adesso: la domenica e nelle serate di Champions si tifa il PSG, il venerdì sera il Red Star. D’altra parte, al Bauer non si va solo per vedere la partita, perché il Red Star è plus que du foot.