Tassare le bistecche per salvare il pianeta
by Giancarlo SturloniLa proposta di una tassa sulla carne per rimediare all’impatto ecologico degli allevamenti fa discutere l’Europa, ma per l’ambiente e la salute potrebbe essere un toccasana
L’idea di introdurre una tassa europea sulla carne per compensare l’impatto ambientale degli allevamenti ha già scatenato un polverone. Per la Lega si tratta di “una vera follia”, che minaccia la nostra dieta mediterranea. Il Carroccio ha presentato un’interrogazione parlamentare per chiedere al ministro delle Politiche agricole alimentari e forestali, Teresa Bellanova, di scongiurare l’introduzione dell’odiato balzello. Anche Coldiretti ha levato gli scudi, sostenendo che la carne è una pietanza irrinunciabile per nove italiani su dieci. Ma la faccenda è dannatamente seria. Perché secondo la gran parte degli esperti, senza una riduzione dei consumi di carne sarà impossibile arginare il riscaldamento globale e la perdita di biodiversità. O la bistecca o il pianeta, insomma.
La proposta di tassare la carne è stata presentata al Parlamento europeo il 5 febbraio. Si basa un rapporto elaborato dall’istituto di ricerca ambientale Ce Delft e commissionato da True Animal Protein Price (Tapp), una coalizione di associazioni in difesa della salute, dell’ambiente e del benessere degli animali.
Secondo lo studio, per rimediare ai danni ambientali causati dagli allevamenti (emissioni di gas serra, perdita di biodiversità e inquinamento dell’aria e dell’acqua), il prezzo della carne bovina dovrebbe aumentare di 0,47 euro ogni 100 grammi, mentre le carni di maiale e di pollo, che hanno un impatto minore sull’ambiente, dovrebbero costare rispettivamente di 0,36 e 0,17 euro in più ogni 100 grammi. Si è quindi proposto di introdurre una tassa progressiva che, nell’arco di un decennio, porti a un rincaro di circa il 25% delle amate bistecche.
In questo modo, stimano gli esperti di CE Delft, entro il 2030 i consumi europei di carne bovina potrebbero calare del 67%, quelli di carne suina del 57% e quelli di pollo del 30%. Le emissioni di CO2 si ridurrebbero così di 120 milioni di tonnellate all’anno. Mentre i 32 miliardi di euro incassati dalla tassazione potrebbero essere spesi per aiutare gli agricoltori per orientarsi verso produzioni più sostenibili, per ridurre il prezzo di frutta e verdura e per sostenere le famiglie più povere.
Il fatto che l’eccessivo consumo di carne e di prodotti di origine animale faccia male al pianeta e alla salute è ormai fuor di dubbio. La Fao stima che gli allevamenti siano responsabili di almeno il 14,5% delle emissioni di gas serra e di gran parte della deforestazione. L’impatto degli allevamenti bovini, in particolare, è devastante: se le vacche fondassero una nazione, sarebbe il terzo Paese per emissioni di gas serra dopo Cina e Stati Uniti. A questo si deve aggiungere il consumo di suolo: il 59% della terra coltivabile è usata per produrre il mangime con cui nutrire gli animali che mangiamo. Se aggiungiamo i pascoli, arriviamo al 75%. Senza contare i consumi di acqua (un terzo serve al bestiame) e l’inquinamento prodotto in particolare dagli allevamenti intensivi.
E poi ci sono gli effetti sulla salute: un’infinità di studi scientifici ha portato molti esperti a invocare una dieta meno ricca di carni rosse. Secondo la commissione Eat-Lancet, per esempio, per seguire una dieta salutare e sostenibile, il consumo di carne rossa non dovrebbe eccedere i 14 grammi al giorno: l’equivalente di un hamburger di manzo a settimana. Il piatto andrebbe invece riempito con frutta, verdura, noci, legumi, cereali integrali (riso, grano e mais) e tuberi amidacei (come patata o manioca). A cui aggiungere due uova e un paio di porzioni di pollo e di pesce a settimana, un bicchiere di latte al giorno o l’equivalente in formaggi. Non si tratta dunque di diventare per forza tutti vegetariani, ma di tornare a una dieta più equilibrata, a base vegetale, pur non escludendo le proteine animali: in buona sostanza, la vera dieta mediterranea, che di carne ne prevedeva assai meno di quella che oggi mettiamo in tavola. I cittadini dell’Europa occidentale sono tra i maggiori consumatori di carne al mondo e in media mangiano circa il 50% in più di carne rispetto a quanto raccomandato nelle linee guida sulla salute alimentare.
Incentivare la riduzione dei consumi di carne e di prodotti di origine animale sarebbe perciò salutare per noi e per il pianeta. Farlo con una tassa può essere impopolare, ma da qualche parte bisogna pur partire. Perché se è vero che a parole tutti quanti vogliamo bene al pianeta e ci teniamo alla salute, ogni volta che si prova a intervenire tassando la plastica o gli zuccheri, tutti i nostri buoni propositi vengono prontamente rimessi nel cassetto. Ma detto fra noi, se davvero vogliamo imboccare la via della sostenibilità come si propone di fare il Green New Deal europeo, allora altro che tassa sulla bistecca: dovremo rivoltare come un calzino non solo la produzione alimentare, ma ogni altro aspetto della nostra vita.
Di certo, parlando di zootecnia, si potrebbe cominciare togliendo i generosi incentivi che l’Unione Europea elargisce agli allevamenti intensivi, come sostiene da tempo Greenpeace. L’attuale sistema di produzione alimentare è così sbilanciato che un chilo di pizza può costare più di un chilo di carne, spesso di bassa qualità e prodotta in allevamenti intensivi tanto inquinanti quanto lautamente sovvenzionati con fondi pubblici. I nostri soldi potrebbero essere spesi meglio per agevolare la transizione verso produzioni più sane e sostenibili, garantendo a tutte le fasce della popolazione, anche quelle a basso reddito, l’accesso ad alimenti di qualità.
Se una tassa sulla carne può aiutare questa transizione, allora ben venga. Nel 2018 uno studio coordinato da un gruppo di ricercatori dell’Università di Oxford e pubblicato sulla rivista scientifica Plos One ha stimato che ottimizzando una tassa sulla carne si potrebbero tagliare le emissioni globali di gas serra di oltre 100 tonnellate di CO2 equivalente e prevenire 222 mila decessi causati dal consumo di carne rossa e lavorata, con un risparmio di 41 miliardi di dollari sui costi sanitari. Se vogliamo cominciare a fare sul serio, come direbbe Jonathan Safran Foer, non possiamo lasciare che il pianeta diventi una gigantesca fattoria. Cosa stiamo aspettando?