Losada: "In Mali l'incertezza causata dai jihadisti ha radicalizzato la popolazione"
Intervista a Ángel Losada Fernández, Rappresentante speciale dell’Unione europea per il Sahel, per Affari Internazionali
by HuffPostIl diplomatico Ángel Losada Fernández è il Rappresentante speciale dell’Unione europea per il Sahel. A Roma per partecipare al workshop “The future of public goods in Africa”, organizzato dallo IAI, accetta di conversare con AffarInternazionali. La situazione del Sahel preoccupa in modo sempre maggiore la comunità internazionale. Dal Mali al Niger lo scorso anno le azioni dei vari gruppi jihadisti hanno provocato quattromila vittime tra civili e militari. C’è chi teme che cellule terroristiche possano impiantare nell’area un nuovo califfato. Le conseguenze del cambiamento climatico, oltre che l’insicurezza alimentare, contribuiscono a creare nella regione una situazione altamente critica e l’Unicef in questi giorni denuncia che 5 milioni di bambini avranno bisogno di assistenza umanitaria.
Ambasciatore, l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati, Filippo Grandi, di ritorno dal Sahel ha denunciato la terribile emergenza nell’area: “Le persone stanno soffrendo, sono vittime di omicidi, le donne sono violentate e i bambini non possono andare a scuola… Il Sahel è il luogo in cui abbiamo il dovere di intervenire prima che questa crisi divenga ingestibile”. Cosa è possibile fare?
“La situazione al momento è abbastanza grave perché il Sahel sta vivendo diverse crisi nello stesso momento. C’è innanzitutto la crisi politica riguardante il processo di pace in Mali. L’ho sempre detto, e lo ripeto qui: non avremo la pace nel Sahel se non c’è pace in Mali. Io sono il Rappresentante speciale dell’Unione europea per il Sahel nel processo di pace e in questa veste partecipo agli incontri sul tema. Ora il processo sta andando avanti, anche se a piccoli passi. La seconda crisi la identifico con la crisi della sicurezza che al momento resta la più grave. Non c’era sicurezza nel 2012, quando la Francia attuò l’Operazione Serval, e questa insicurezza determinata dai gruppi jihadisti si estendeva allora dal nord fino al centro del Mali. Oggi l’insicurezza si è estesa così tanto che ha portato alla radicalizzazione della popolazione, che non ha scelta se non quella di cadere nelle mani dei gruppi estremisti. Questi approfittano dei vecchi e tradizionali scontri tra pastori, nomadi, agricoltori e finiscono per sembrare gli unici in grado di conferire sicurezza al Paese. Questo è il vero problema che è necessario affrontare nel prossimo futuro, specie nelle regioni più fragili. La terza crisi è quella dello sviluppo. Parliamo dei Paesi più poveri al mondo, quelli del G5, composto da Mauritania, Mali, Burkina Faso, Niger e Ciad. Hanno un reddito pro capite inferiore a 500-600 dollari, che è veramente basso. Questo li colloca molto al di sotto della media dell’Africa subsahariana, dove il reddito pro capite è più o meno 1.400 dollari. Si registra inoltre una vera e propria esplosione demografica che, congiuntamente ai cambiamenti climatici, fa sì che ci siano al contempo più persone e meno terra disponibile. Alla luce poi degli scontri tra le varie comunità, la situazione sta peggiorando notevolmente. Sono comunque convinto che il problema più grande sia il vacuum dello Stato, non c’è alcuna presenza dello Stato. Bisogna lavorare con tenacia in questa direzione ed è quello che stiamo facendo come Unione europea. Siamo convinti che sia necessario procedere con un approccio adeguato di sicurezza e sviluppo e che vada di pari passo affrontato l’aspetto politico della situazione. Così vedo al momento la situazione del Sahel”.
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