La denatalità si combatte dando più lavoro alle donne
by Vanna IoriDice bene il Presidente Mattarella. Quello delle poche nascite ”è un problema per l’esistenza del Paese”. Per ogni 100 residenti che muoiono ne nascono solo 67. In un anno sono state registrate 116 mila nascite in meno. Inoltre i figli si mettono al mondo in età sempre più avanzata, e così la fertilità diminuisce nel tempo, mentre l’invecchiamento della popolazione aumenta. In realtà a diminuire non è il numero di figli per donna (1,29 costante), ma il numero delle donne in età fertile.
Questo significa, nel breve periodo, un indebolimento del tessuto del Nostro Paese e, nel lungo, l’insostenibilità del sistema di Welfare. Chi pagherà le pensioni e la sanità, per esempio? Per riprendere l’andamento procreativo e riportarlo a livelli che ci facciano uscire dall’attuale criticità occorrono interventi strutturali e duraturi.
Innanzitutto, analizzando le ragioni per cui non si fanno figli. Per la prospettiva di lavori precari e salari non adeguati alle aspettative e ai costi della vita, la difficoltà delle donne di accedere al mondo del lavoro e avere prospettive di carriere, le politiche insufficienti di sostegno alla famiglia o per la casa. Si tratta di elementi materiali che si incrociano con quelli culturali, con le donne ancora imprigionate in ruoli di genere e stereotipi impermeabili al cambiamento.
Cosa possiamo fare di fronte a un cambiamento che mina alle basi il nostro futuro e la nostra esistenza come comunità? Ne ho parlato già parlato diffusamente su questo blog, soprattutto dal punto di vista e della dimensione relazionale. Oggi credo sia urgente avviare una serie di azioni concrete di politiche economiche, investendo risorse sulla ripresa della natalità. Se questo esecutivo vuole dare un segno di svolta, dopo aver abbassato il costo sul lavoro e aver tracciato le prime misure del Family Act con uno stanziamento di 2 miliardi, deve necessariamente aumentare gli aiuti alle famiglie e ai giovani che desiderano costruirne una.
Questa materia potrebbe essere inserita nel disegno di legge delega sulla riforma fiscale che in aprile il Ministro Gualtieri chiederà al parlamento di approvare. Ci sono già una serie di proposte da cui partire: il Pd ha presentato un disegno di legge delega al governo per assorbire le dodici agevolazioni previste - dai vari bonus alle detrazioni per i figli a carico, fino agli assegni familiari - in un’unica misura. Si tratta dell’assegno unico che ogni famiglia dovrebbe percepire per un figlio, dal parto alla maggiore età. E a ciò si dovrebbe aggiungere una dote unica per i servizi che dovrebbe sostenere le famiglie nelle spese per gli asili nido o le babysitter.
Parliamo di misure universali che andrebbero a beneficio, non solo dei lavoratori dipendenti come accade oggi, ma anche degli incapienti e dei lavoratori autonomi. Il lungo periodo di durata del sostegno consentirebbe di svolgere progetti di lungo periodo che avrebbero un impatto significativo sulla condizione familiare. Si tratta di un beneficio, che non sarà tassato, che terrà conto del reddito perché il nostro obiettivo è valorizzare ogni figlio, dandogli delle opportunità e aiutandolo a diventare un cittadino titolare di diritti. Con l’ultima legge di bilancio abbiamo già dato un segnale importante in questa direzione: nel 2020, infatti, è stato previsto un contributo dai 1500 ai 3000 euro annui per gli asili nido e un assegno di natalità per ogni figlio nel primo anno di vita che va da 80 a 160 euro, a seconda delle fasce di reddito.
Tuttavia, pur riconoscendo lo straordinario sforzo fatto dal governo, ritengo che l’elemento reale di svolta stia nella capacità di incrementare l’occupazione femminile, poiché (contrariamente allo stereotipo) quanto più le donne lavorano e hanno un’indipendenza, tanto più fanno figli. Basta guardare al nostro Paese e agli ultimi dati Istat: al Nord, dove è più alta l’occupazione femminile, si registra un numero maggiore di nascite. Le donne con maggiori difficoltà economiche, spesso, devono scegliere tra lavoro e figli. E, nel farlo, bisogna tenere insieme la dimensione economica con quella relazionale, la corresponsabilità con la dignità sociale, la presenza di servizi educativi e politiche di incremento delle relazioni nelle comunità territoriali.
La denatalità è il segno di una grande mancanza di fiducia e di prospettive e per restituirle servono progetti strutturati e organici. Senza, davvero, il Paese è destinato a una lenta agonia. Le famiglie sono il tessuto connettivo delle nostre comunità.