Il Mercato Globale del Surf, tra crisi e ripresa
Tra chiusura di contratti milionari, aziende in crisi e il prossimo debutto alle olimpiadi di Tokyo il mercato globale del surf sta subendo grossi scossoni
by Redazione 4SurfCosa ci riserva il futuro? A seguito dell’attenta riflessione scritta da Carlo Morelli su surfinsalento.it , abbiamo fatto qualche domanda al fondatore del sito pugliese per capire meglio il suo punto di vista e cercare di chiarire le idee di tutti i lettori.
A seguito dell’intervista riportiamo il testo dell’articolo di Morelli, che puoi leggere anche sul sito Surfinsalento cliccando qui.
Ciao Carlo, davvero molto interessante il tuo articolo. Cosa ne pensi di questo rimescolamento delle carte previsto per le imminenti olimpiadi?
Bah…. non è la prima volta che nel nostro ambiente si assiste ad un “rimescolamento” dei giochi, intendendo per rimescolamento aziende che rescindono o non confermano contratti di immagine e sponsorship con atleti del panorama mondiale, solo che questa volta il discorso è sotto gli occhi di tutti. Son troppi gli atleti messi in discussione dalle aziende.
Secondo te il graduale passaggio al mainstream della surf-culture può essere un’ulteriore causa di ridefinizione della comunicazione nel surf, e di conseguenza degli ambassador e del marketing correlato?
Ciò che succedere da ora e fino alla fine di Tokio 2020 non è dato saperlo. Io ho provato ad immaginarlo, facendo dei ragionamenti razionalmente plausibili, e credo che sicuramente ci saranno altri rimescolamenti, ci saranno altre sorprese, come per esempio vedere che un’icona come Dion Agius veste da pochi giorni Manera, un rinomato marchio di mute dell’ambiente kitesurf…
In questo contesto caotico come pensi possa inserirsi il cambiamento già in atto nelle abitudini del consumatore? Cambiamento inteso soprattutto verso una maggiore sensibilità al tema ambientale…
L’ho scritto chiaramente alla fine della mia riflessione: nessun surfista può sentirsi escluso dalle logiche consumistiche del “cambio muta e tavola ogni due anni”. Tutto questo discorso, incentrato sul commercio e sul business, c’entra ben poco con il rispetto per l’ambiente, anzi. Possiamo inventarci le mute eco, le tavole in sughero, ma la maggior parte dei consumatori sceglierà sempre il prezzo più conveniente, e purtroppo viviamo in un mondo in cui per rispettare l’ambiente dobbiamo pagare di più (che paradosso vero? Basterebbe “consumare meno”).
Nell’articolo parli di una nuova immagine veicolata dai surf brand nel dopo olimpiadi, immagine che potrebbe essere fuorviante e difficilmente accettata dal surfista più puro. Che tipo di immagine pensi ne verrà fuori?
Fino ad ora è come se il surf, almeno a mio personalissimo parere, non abbia avuto una sua identità culturale forte e su larga scala. E nel corso degli anni i brand hanno potuto mostrare le cose più belle del nostro mondo, ma in formato “pillola”, a volte edulcorata, ammorbidita, allo scopo di renderla più vendibile! Il surf è una forte esperienza che a volte stride con la timeline che abbiamo scelto per la nostra vita. Ad un certo punto il surf divide, e poi subito dopo unisce.
Bene, a me piacerebbe che dopo le Olimpiadi di Tokio 2020 il surf non perdesse la sua essenza, e sarebbe bello che proprio grazie ad esse il lato agonistico e sportivo si avvicinasse di più al lato filosofico.
Sarà poi il lato commerciale a fare tutto il resto, e cioè la propaganda.
IL MERCATO GLOBALE DEL SURF VA GIU’ – SCENARI IN VISTA DI UNA RINASCITA PROGRAMMATA
Il mercato del surf è cambiato! E lo farà ancora nei prossimi mesi. Ma cosa diamine sta accadendo a questo strano settore commerciale che, se ci pensiamo bene, fino ad ora ha vissuto solo momenti di crescita, seppure altalenanti?
Alana Blanchard, Taj Barrow, Carissa Moore, e tanti altri Pro Surfer sono stati fatti fuori dai surf brand che li sponsorizzavano. Il caso più emblematico è stato senza dubbio quello di Jhon Jhon Florence: Hurley lo ha liquidato da un contratto di ben trenta milioni di dollari. A rimanere superficiali nell’osservazione di questo “fenomeno”, potremmo dire che tutto ciò è irragionevole.
Ma se iniziamo ad approfondire e riflettere attentamente, potremmo dare una spiegazione più che logica.
Già da qualche anno i surf brand più famosi nel mondo sono stati venduti ad alcune multinazionali: questa è l’informazione più importante della faccenda, se correlata alla circostanza che tra qualche mese ci saranno le Olimpiadi di Tokio 2020, dove il surf farà il suo debutto in gran stile. I contratti dei pro tutti rescissi, le acquisizioni dei surf brand da parte di solidi fondi di investimento: “Negli ultimi due anni Quiksilver, Billabong, e Rip Curl sono stati tutti acquisiti da organizzazioni più grandi, il che significa che i fondatori, persone del settore fortemente radicate nella cultura surf, non ci sono più!” – Stab Magazine
Quindi tutti questi cambiamenti stanno avvenendo proprio ora, perché? Perché tutto questo a pochi mesi dall’inizio di Tokio 2020? Per giustificare un’acquisizione aziendale le motivazioni non sono molte: o l’azienda ha cambiato idea di business, oppure le cose non vanno bene, le vendite dei prodotti non giustificano gli investimenti. Ma allora, tutto il marketing che queste aziende ci hanno mostrato, tutte le trovate pubblicitarie a cui ci hanno abituato, tutto fumo negli occhi? E’ stato forse prodotto più del necessario?
Ci sembra un po’ di assistere a ciò che a livello locale abbiamo vissuto in prima persona dalle nostre parti: come può esserci sostenibilità se nascono i surf-shop ma non ci sono surfisti a cui offrire i prodotti? Come si può pensare di produrre cose se la domanda di riferimento è scarsa? Come si può pensare che la domanda aumenta solo grazie all’offerta?
Beh, un’idea ce la siamo fatta. Ed è questa: Tokio 2020 sarà un’operazione di marketing a costo zero per tutto il mondo del surf, e le multinazionali sono prontissime all’eventuale aumento della domanda, con le loro politiche ben strutturate. Le prossime Olimpiadi saranno il signaling device verso la globalizzazione della surf culture. Ripensando, quindi, a tutti i contratti rescissi dei pro, le carte verranno rimescolate nuovamente, tempo massimo diciotto mesi. E a quel punto i migliori surfisti del mondo potranno riprendere sonni tranquilli. Le Olimpiadi metteranno in luce prima di tutto loro, poi le squadre che si contenderanno i titoli, e le rispettive nazioni di appartenenza.
Tutta questa faccenda sta avendo delle ripercussioni anche a livello locale (non solo globale). Sono già diversi anni che assistiamo ad una sorta di mercificazione del surf-style, presente praticamente in tutte le pubblicità delle case automobilistiche e di altre importanti aziende nel campo del benessere e della cura della persona. Nonostante ciò non sembra ci sia stato un significativo incremento del mercato. Anzi. In Italia, per rimanere un po’ nei nostri confini, assistiamo ogni giorno alla chiusura di un surfshop, idea e frutto dell’intraprendenza di qualche amante del surf.
Allo stesso modo assistiamo al passaggio dei marchi da un distributore all’altro, e non possiamo trascurare il fatto che, ora, quei pochissimi surfisti italiani che erano riusciti a ricevere l’appoggio di importanti sponsor sono rimasti con le tavole senza adesivi. Vogliamo andare ancora più a fondo nella faccenda? I margini di guadagno dalla vendita dei surf products si sono assottigliati, ma il surfista consumatore medio vuole spendere sempre meno; e le spese sostenute dai commercianti sono aumentate. Ecco perché non c’è da stupirsi se la vendita on line sia diventata la più redditizia, e se tutti i brand più importanti hanno trasformato i propri siti internet in grandi magazzini dai super sconti, tralasciando ogni tanto storia, immagine, e informazioni generali.
E i consumatori? Beh, loro possono acquistare tutto stando comodamente seduti a casa davanti al pc. Se invece avessero per caso il desiderio di toccare con mano i prodotti prima di acquistarli, potrebbero avere non pochi disagi. Se tutti acquistiamo solo sul web, pian piano i negozi scompariranno e nessuno di noi, neofiti o esperti, avrà più la grande possibilità di sentire di che profumo è fatto il nostro desiderio materiale, prima di decidere. Questo aspetto è il più pericoloso di tutta la faccenda, ma forse ce lo meritiamo, dopo tutto in tanti anni non siamo stati capaci di difendere il frutto di una grande passione.
Se la nostra previsione su Tokio 2020 fosse vera, e le aspettative delle multinazionali verranno esaudite, il surf non sarà più in una nicchia di mercato. Tante, tantissime persone avranno improvvisamente il desiderio di cavalcare un’onda, e per farlo avranno bisogno di una tavola, di una muta o di un costume. Le ricadute economiche positive le si avvertiranno sia a livello globale che a livello locale. Si assisterà ad una rinascita di questo mercato, e gli attori e protagonisti saranno coloro che avranno resistito, insieme a tanti altri che decideranno di inserirsi in questo mondo.
I prodotti costeranno sensibilmente di più, perché le aziende offriranno i prodotti al prezzo più alto possibile, e i consumatori saranno disposti ad acquistarli lo stesso, perché l’immagine sarà più forte di prima. Quale sarà questa immagine, però, preferiamo non immaginarlo per il momento, potremmo restarne delusi.
Sebbene la nostra possa sembrare una riflessione per gli addetti al settore, tutto questo è straordinariamente popolare. Interessa tutti, surfisti e aspiranti, radicali o meno, giovani e vecchi. Interessa anche tutta quella sfera di brand indipendenti e controcorrente, che vivono la loro momentanea gloria proprio grazie alla contrapposizione “agli altri”. Ogni singolo surfista è interessato, consapevole o meno di ciò che sta per accadere. Gli unici a cui forse può non interessare questo discorso sono tutti quelli che surfano con tavole ricavate dai tronchi d’albero, che non indossano mute o altri accessori, e che non utilizzano le auto e il carburante fossile per raggiungere lo spot più vicino.
Rimaniamo comodi sulle nostre poltrone, e vedremo che succederà…
Carlo Morelli – Surfinsalento