Sardine diversamente social

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Simona Granati - Corbis via Getty Images

Ormai è stato detto e ridetto: le Sardine si propongono come un’alternativa credibile, seria, condivisibile. Si affermano infatti come una proposta politica che rifugge i linguaggi mediatici a cui siamo, a quanto pare, tutti assuefatti e che loro,invece, sostengono di non adottare. Questo posizionamento, è chiaro, va in forte controtendenza rispetto a Matteo Salvini, “reo” di aver sfruttato i meccanismi dei social media a proprio vantaggio.

Questa contrapposizione viene costantemente ricordata, sottolineata, elevata addirittura a vessillo della propria trasparenza e alterità; eppure, ci si dimentica sempre che in fondo i social media sono un mezzo: utili megafoni, con limiti anche gravi e senza dubbio migliorabili, ma pur sempre strumenti.

Costruire una proposta politica a partire dallo stile social altrui, infatti, non può essere il punto di partenza di una nuova proposta politica, per diversi motivi: innanzitutto, perché le battaglie contro i mulini a vento non servono a nessuno. Un tempo erano i giornali, poi la radio, poi la tv, poi internet, poi i social, un domani le astronavi o chissà cosa. Prendersela con le nuove tecnologie non risolverà la mancanza di politica: non sono infatti i social media a peggiorare la politica, ma la sua l’assenza,

In secondo luogo, ad un linguaggio che si ritiene sbagliato non si può contrapporre solo un altro linguaggio, ma proposte politiche concrete. Far parlare di sé è importante, ma se non si propongono (e avviano) riforme effettive rischiamo di assistere solo ad un susseguirsi di linguaggi diversi. Che poi, in fondo, sono davvero così diversi?

Questo dubbio ci porta al terzo motivo per cui questi linguaggi, forse, non sono così alternativi: le Sardine stesse infatti usano i social media per organizzare, motivare, diffondersi. Il loro gruppo vanta migliaia di iscritti, la pagina 6000 Sardine conta centinaia di migliaia di like, diverse pagine locali sono molto attive e comunicano con i propri utenti e target. Insomma, le sardine usano i social - come è giusto che sia, visto che ci sono oltre 30 milioni di italiani connessi ogni giorno - con i loro algoritmi e con le loro logiche: volenti o nolenti, serve capirle e saperle sfruttare, pena il rischio di invisibilità o irrilevanza.

Inoltre, i valore della propria proposta politica viene motivata con il successo mediatico ricevuto, sfruttando il paradigma “tanti like=tanto consenso”. Per qualcuno magari è stato anche così, come per Matteo Salvini recentemente; per altri meno, come ad esempio Matteo Renzi dopo il 2014 o, per dire, Laura Boldrini.

Nell’utilizzo dei social media quindi le Sardine sono tali e quali agli altri, ma non solo: la comunicazione politica infatti non è solo comunicazione digitale. E anche sui media tradizionali, sui palchi delle piazze, le Sardine confermano proprio quelle tendenze della comunicazione politica che si propongono di contrastare. Rincorrono una continua polarizzazione, con la costante indicazione di un nemico da combattere (in questo caso Matteo Salvini) e la necessità di attivare e mobilitare i propri seguaci per farlo.

Sfruttano i vantaggi della popolarizzazione, adeguando la propria proposta politica a linguaggi popolari (nel senso di comuni, accessibili, semplici da capire e da rilanciare...come lo stesso nome Sardine, ad esempio) per arrivare alle grandi masse, per farsi conoscere. Infine, anche tra le Sardine è evidente la tendenza alla personalizzazione, l’incarnazione della propria proposta politica in una persona, un leader, un volto la cui storia viene raccontata come esempio di percorso politico.

Ricapitolando: le Sardine occupano uno spazio certamente lasciato vuoto, quella politica che chiede un’alternativa ad aggressività e toni eccessivi, riempiendo le piazze come ormai riusciva a fare solo la Lega di Salvini, arrivata fino al centro, al sud, alle isole. Per farlo, il movimento delle Sardine promette di “evitare i trucchetti della comunicazione”. Eppure il timore è che anche questo obiettivo sia, in fondo, proprio questo: un trucchetto della comunicazione.