Anoressia, avatar e realtà virtuale per studiarne meccanismi emotivi

Studio Università Sapienza Roma e Fondazione Santa Lucia IRCCS

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Roma, 14 feb. (askanews) – L’Anoressia Nervosa (AN) fa registrare ogni anno 8-9 nuovi casi ogni 100mila persone e nel 10-20% accompagna chi ne è colpito per il resto dell’esistenza. È un disturbo della nutrizione e dell’alimentazione caratterizzato dalla restrizione volontaria dell’assunzione calorica, l’intensa paura di aumentare di peso e un alterato rapporto con la forma del proprio corpo.

Maggiormente diffuso tra le ragazze adolescenti e le giovani donne, l’anoressia nervosa è un disturbo psichiatrico molto grave, sia per l’alta resistenza ai trattamenti terapeutici, sia per l’elevato tasso di mortalità. Uno dei sintomi principali è la distorsione a carico dell’immagine corporea: le persone anoressiche sono vittima di una alterata percezione del proprio corpo, ne sovrastimano le dimensioni e manifestano livelli di insoddisfazione sensibilmente più alti rispetto a chi non è affetto dalla patologia.

Oggi, un team di ricercatori coordinato da Ilaria Bufalari nell’ambito delle attività di ricerca dei Dipartimenti di Psicologia e Psicologia dei processi di sviluppo e socializzazione della Sapienza di Roma e del Laboratorio di Neuroscienze sociali della Fondazione Santa Lucia IRCCS guidato da Salvatore Maria Aglioti, mette in campo un nuovo strumento per comprendere i meccanismi percettivi, cognitivi ed emotivi alla base di questo disturbo: la realtà virtuale, impiegata al Santa Lucia anche nell’attività scientifica in ambito neuroriabilitativo. Tra i ricercatori, gli psicologi Giuseppina Porciello e Luca Provenzano.

Lo studio “Characterizing Body Image Distortion and Bodily Self-Plasticity in Anorexia Nervosa via Visuo-Tactile Stimulation in Virtual Reality”, finanziato da un bando Giovani ricercatori del Ministero della Salute, ha combinato la realtà virtuale immersiva con l’illusione di embodiment, un paradigma molto noto delle neuroscienze cognitive e sociali che permette di indurre nei partecipanti l’illusione di possedere un corpo diverso da quello reale, attraverso una stimolazione visuo-tattile sincronizzata.

L’obiettivo – spiega la Sapienza – è proprio quello di indagare le singole componenti alla base della distorsione dell’immagine corporea nell’Anoressia Nervosa.

Per ogni partecipante allo studio, condotto su donne affette dal disturbo e non, sono stati ricreati tre avatar tridimensionali: uno che riproduceva fedelmente la forma e le dimensioni del corpo della persona, uno che ne rappresentava una versione dimagrita e uno ingrassata. Le partecipanti sono state invitate a indossare caschetti per la realtà virtuale attraverso i quali immedesimarsi nei rispettivi avatar. Con la tecnica dell’embodiment è stata poi indotta l’illusione di percepire il corpo di ciascuno dei tre avatar: le partecipanti osservavano un tocco sull’avatar mentre lo stesso tocco veniva effettuato sulla corrispondente porzione del loro corpo reale.

La ricerca ha innanzitutto verificato gli aspetti percettivi, cognitivi ed emotivi che accompagnano la distorsione dell’immagine corporea nell’Anoressia Nervosa: nell’incorporare virtualmente l’immagine “ingrassata”, le pazienti affette dal disturbo mostravano un vissuto di marcato disagio. “I risultati mettono innanzitutto in luce l’importanza di focalizzare l’attenzione sugli aspetti cognitivi ed emotivi del disturbo di rappresentazione corporea – spiega Ilaria Bufalari – ma il salto possibile è quello verso l’utilizzo di questo strumento nei futuri approcci terapeutici e di ricerca: abituando le pazienti a un’immagine del corpo sana, rappresentata attraverso la realtà virtuale in un setting completamente controllato, è pensabile favorire l’interiorizzazione di un corpo normopeso e la riduzione dello stress emotivo legato all’aumento ponderale. Passaggi fondamentali nel processo terapeutico di guarigione dalla patologia”.

Questo esperimento è il primo ad abbinare paradigmi di illusione corporea multisensoriale, come l’embodiment, ad avatar 3D biometricamente fedeli. I risultati mostrano che tale approccio rappresenta una preziosa risorsa non solo di indagine, ma anche per future applicazioni psicoterapeutiche.