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Guerra del riso: Ue sospende dazi dalla Cambogia e fa infuriare i risicoltori

L’Italia, maggior produttore di riso in Europa, non viene tutelata dalla Ue che mantiene la sospensione dei dazi sul riso importato dalla Cambogia.

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Dopo la tassa sulla carne, arriva anche quella (indiretta) sul riso. Non si tratta di una vera e propria imposizione fiscale da parte dell’Unione Europea, ma di un provvedimento che riguarda in particolare i dazi sulle importazioni di riso dalla Cambogia e dal Vietnam, fra i maggiori produttori al mondo.

Sostanzialmente Bruxelles ha deciso di prorogare la sospensione dei dazi sulle importazioni di riso lavorato, semilavorato e aromatico da Vietnam e Cambogia per 80 mila tonnellate all’anno. La decisione è stata presa nell’ambito della proposta in discussione a Bruxelles per stilare una lista di prodotti su cui sospendere i dazi agevolati alle importazioni dalla Cambogia per violazione dei diritti umani. Il riso, a quanto pare, è escluso – spiegano dalla Commissione – perché coperto dalle clausole di salvaguardia.

Italia soddisfa il 50% della domanda di riso in Europa

Secondo un portavoce della Commissione, la decisione di è “equilibrata e calibrata” (anche l’Italia ha firmato per le clausole di salvaguardia nel 2018) per non danneggiare eccessivamente la popolazione cambogiana. Il ritiro delle preferenze tariffarie e la loro sostituzione con le tariffe standard della Ue riguarda alcuni prodotti di abbigliamento e calzature, tutti gli articoli da viaggio e lo zucchero. Ma non il riso le cui importazioni annuali dalla Cambogia verso la Ue valgono circa un miliardo di euro. Il nostro Paese, però, da questa decisione comunitaria non ne esce di certo soddisfatto.  L’Italia – fa notare Confagricoltura – è il principale produttore di riso in Europa: su un’area di 220.000 ettari operano 4 mila aziende agricole che raccolgono 1,40 milioni di tonnellate di riso all’anno, pari a circa il 50% dell’intera produzione UE, con una gamma varietale unica e fra le migliori del mondo.

Piemonte e Lombardia danneggiate

In Italia, i maggiori produttori di riso si trovano in Piemonte e Lombardia. In particolare, in Lombardia ci sono ben 94.000 ettari coltivati a riso, il 42% del totale nazionale e il riso rappresenta circa il 10% della superficie agricola utilizzata in Regione, con la provincia di Pavia e la zona sud del Milanese come aree più interessate. “E’ assurdo – dicono da Confagricoltura –  pensare che un Paese come la Cambogia che non rispetta i diritti umani venga tutelato dalla Ue e continui a godere di privilegi che danneggiano gli agricoltori italiani”. Per cui anche il riso cambogiano deve essere inserito, al pari di altri prodotto di esportazione, nella lista delle merci soggette a dazi doganali. Una presa di posizione sostenuta anche dal presidente di Ente Risi, Paolo Carrà, ascoltato in audizione alla commissione Agricoltura della Camera.

Il provvedimento è necessario – spiega Carrà – perché la clausola di salvaguardia, che l’anno scorso ha introdotto i dazi doganali, è valida ancora per soli due anni, ed é applicata solo al riso Indica lavorato mentre la Cambogia sta importando anche Japonica e semigreggio Indica. Inoltre, pende dinnanzi al tribunale dell’Ue la procedura del Governo cambogiano per l’annullamento della clausola di salvaguardia“.

Il riso cambogiano danneggia il made in Italy

E’ indubbio che il provvedimento della Ue danneggi il riso made in Italy. Dalla Cambogia nell’ultimo anno – sottolinea con preoccupazione Coldiretti – sono arrivati in Italia oltre 8 milioni di chili secondo proiezioni Coldiretti mentre le importazioni dal Vietnam sono stimate in oltre 7,5 milioni di chili, con una crescita record di 18 volte in quantità nel corso del 2019. Gli agricoltori di Piemonte e Lombardia hanno scritto in tal senso al ministro degli Esteri Luigi Di Maio e al commissario europeo all’agricoltura, l’irlandese Phil Hogan affinché venga rivista la decisione della Ue che danneggia l’Italia sotto questo aspetto importante. E’ necessario che le richieste italiane in materia di risicoltura vengano ascoltate e sostenute adeguatamente a livello comunitario, altrimenti ne va del buon marchio “Made in Italy” che, da un lato dovrebbe essere tutelato dai rappresentanti politici, ma dall’altro – alla luce dei fatti – viene calpestato.