Il Mise non può diventare il cimitero delle imprese

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Nei giorni scorsi l’Istat ha certificato che, nel 2019, la produzione industriale italiana è tornata a scendere dopo cinque anni. A fronte della crescita media dello 0,6% del 2018, nel 2019 si registra un calo dell‘1,3 per cento in media. Nella produzione dell’auto il ribasso annuo è del 13,9%, solo per citare un settore, ancora di importanza strategica.

Certo, si tratta di un “male” che non affligge solo l’Italia: a dicembre 2019, certifica Eurostat, la produzione industriale dell’Eurozona è calata del 2,1%. Si cominciano, intanto, a produrre le conseguenze sull’economia globale dell’irruzione sulla scena del nuovo coronavirus.

Ma le pessime condizioni che affliggono le attività produttive del nostro Paese erano già sotto gli occhi di tutti.

Perché c’è un ineludibile punto strutturale: la seconda potenza manifatturiera di Europa è rimasta senza una politica industriale. Un fatto enorme: l’Italia è, oggi, un Paese senza una strategia di crescita.

Il ministero dello Sviluppo Economico è divenuto un contenitore in cui si ammassano i tavoli di crisi che provengono, indiscriminatamente, da una quantità di settori: manifatturiero, edile, della grande distribuzione e via elencando. Il luogo di governo da cui dovrebbero provenire strategie e stimoli rischia di diventare un cimitero di imprese e posti di lavoro. Segnatevi questo numero: 150, sono i tavoli di crisi aperti.

E veniamo, perciò, ad altri numeri. Parlo dei dati Istat sulla Cassa Integrazione Guadagni elaborati dal Centro Studi Contrattazione e Mercato del Lavoro di Lavoro&Welfare. Perché ovviamente, nell’alta marea delle crisi industriali, annegano i posti di lavoro insieme alle prospettive del Paese.

Nel 2019, rispetto all’anno precedente, la cassa integrazione è cresciuta del 20,20 %. Nel dettaglio, la Cassa integrazione ordinaria è salita del 10,22 %. Quella straordinaria del 31,20%. Mentre quella in deroga, in via di abbandono per le modifiche alla legislazione sugli ammortizzatori sociali, è crollata del -67,19 %.

Inoltre, è da mettere in evidenza lo squilibrio nella distribuzione del ricorso alla Cig nelle varie aree del Paese. E tra queste vi sono vasti disequilibri tra le diverse Regioni. Accomunate da una flessione dell’utilizzo della Cig, per esempio, Regioni del Nord Est come Trentino-Alto Adige (-0,49%), Veneto (-8,82%), Friuli Venezia-Giulia (-0,94%); mentre in Emilia-Romagna la Cig cresce del 38,36%.

Nel Nord-Ovest: la Liguria cresce di un impressionante +70,33%, la Lombardia del +17,24; mentre la Val d’Aosta scende: -63,89%.

Al Centro, la Cig cresce in tutte le Regioni ad eccezione del Lazio (-7,15%). In Toscana si registra un +53,82; in Umbria un +28,80%; nelle Marche un +35,72%.

Nel Mezzogiorno e nelle isole solo l’Abruzzo (-46,33%) e la Calabria (-10,52%) vedono calare il ricorso alla Cig. Ad offrire picchi spaventosi sono invece il Molise (+141,57%), la Basilicata (+108,79%), la Sardegna (+58,16%), la Campania (+50,95%). La Puglia si ferma a un +37,18%; la Sicilia a un +17,76%.

C’è da riflettere seriamente sul destino di queste Regioni che, inevitabilmente, si stanno svuotando di giovani che abbandonano il proprio luogo d’origine, ma anche il Paese. Rispetto, alla media nazionale che indica una crescita della Cig del 20,20%, il Mezzogiorno si caratterizza con un 42,67%. Si tratta del segno evidente della diversa velocità del Sud (Puglia, Basilicata, Campania, Calabria, Sicilia, Sardegna) rispetto al resto del Paese. Le distanze, purtroppo, aumentano.

Dunque, quella dell’Italia - nel 2019 - è la carta geografica di una crisi diffusa, non governata e non contrastata. E quando parlo di contrasto non mi riferisco alle “statalizzazioni” immaginate in alcuni ambienti.

Servirebbe che, al Ministero dello Sviluppo, si ricominciasse a elaborare una strategia di politica industriale, seguendo l’esempio di altri Paesi europei e le sollecitazioni che arrivano dalla nuova Commissione Ue in materia di collaborazioni, come quella per le batterie per le auto elettriche, che sarà decisiva nel settore automotive.

E, soprattutto, è necessario sgombrare dalla cultura di governo qualsiasi mistificazione in merito alle prospettive economiche di questo Paese. L’Italia è un Paese industriale.

Ogni giorno sentiamo parlare di Ilva, Whirlpool, Mercatone Uno, Alitalia, Air Italy, punte dell’enorme iceberg delle crisi industriali. Il Mise non può diventare il cimitero delle imprese morte e la politica industriale deve diventare una priorità ineludibile del governo.