la Repubblica
Mafia, Graviano parla ancora di Berlusconi: "Volevo ricordargli il suo debito"
Al processo 'Ndrangheta stragista, il boss spiega perché nelle intercettazioni diceva di voler contattare "persone vicine" al Cavaliere: "Non aveva dato il 20 per cento dell'investimento di mio nonno. Ma di tanto in tanto arrivavano dei soldi". Lo accusa pure di avere tradito Dell'Utri. Sul figlio, nato mentre era in carcere, dice: "Non posso dire cosa è successo, ci fu un momento di distrazione degli agenti, però mia moglie non è entrata in carcere".
by ALESSIA CANDITO e SALVO PALAZZOLOI rapporti con Berlusconi ("Deve rispettare i patti"), la nascita di suo figlio durante la detenzione ("Grazie a una distrazione degli agenti"), la strage di via D'Amelio ("Ancora tante malefatte, porterò i documenti"). Il boss Giuseppe Graviano torna a parlare al processo ‘Ndrangheta stragista, a Reggio Calabria. E parla ancora da boss, annunciando di avere pronto un libro sulla sua vita, con la sua versione naturalmente.
“Avevo chiesto al mio compagno dell’ora d’aria, Umberto Adinolfi, di avvicinare persone vicine a Berlusconi per ricordargli il suo debito. Doveva rispettare i patti”. Rispondendo alle domande incalzanti del pm Giuseppe Lombardo, il capomafia palermitano dice: “C'erano soldi che mio nonno aveva consegnato a Silvio Berlusconi, all'inizio degli anni Settanta, si era stabilita la percentuale del 20 per cento da allora in poi”. Soldi, che secondo Graviano, non sarebbero mai tornati in Sicilia. “E io non volevo fare brutta figura con l’impegno di mio nonno verso quelle persone a Palermo che avevano partecipato all'investimento”. Anche se poi nel corso dell'udienza ammette: "A mio cugino Salvatore arrivavano di tanto in tanto dei soldi: 500 milioni di lire, 300 milioni. E lui li investiva, a Palermo e in altre parti d'Italia. Aveva dato 600 milioni per comprare dei magazzini, affare che poi non si concretizzò. E investì nell'Iti caffè"
Alla scorsa udienza, il boss delle stragi aveva raccontato di un investimento fatto dal nonno materno e da tre palermitani, all’inizio degli anni Settanta: venti miliardi di lire, che sarebbero finiti nella costruzione di Milano 3, “ma anche nelle televisioni”, aveva detto il boss.
"C'era una scrittura privata che diceva di quell'investimento - ribadisce Graviano - la teneva mio cugino: nel 2002, quando stava per morire, sua moglie mi mandò una lettera perché lui voleva parlarmi. E' andato mio fratello, ma lui voleva parlare con me. Forse, voleva dirmi dov'era la lettera".
Graviano, il boss condannato all'ergastolo per le stragi del 1992-1993, continua a mandare messaggi. "Non ho fatto le stragi, sono innocente - dice - ho una dignità, una serietà, non dico bugie". E annuncia di volere parlare anche di "altri argomenti, quando mi interrogherete in nuove occasioni". Nella scorsa udienza, aveva detto di avere qualcosa da dire sull'omicidio del poliziotto Agostino e sull'agenda rossa trafugata a Paolo Borsellino il giorno della strage di via D'Amelio: un altro messaggio, le due vicende sono intrecciate dal mistero dei rapporti fra i mafiosi e ambienti deviati dei servizi segreti. A chi parla Graviano? Nell'udienza di oggi racconta di un "progetto di più persone per farmi arrestare". E chiama in causa i carabinieri, che nel gennaio 1994 lo bloccarono a Milano, ma anche il pentito Contorno, parla pure di "due donne che erano arrivate, quando faremo gli interrogatori vi dirò". Messaggi su messaggi. Mentre ribadisce: "Non collaborerò mai, mai accetterò un ricatto, possono venire quanto vogliono, possono mettermi in croce. Qualcuno non vuole la verità, ma una verità. Per fare carriera".
Il procuratore aggiunto Lombardo fa domande su domande, Graviano torna ad accusare Berlusconi: "Ha tradito anche Marcello Dell'Utri. Le leggi che ha fatto Berlusconi hanno danneggiato pure lui, che è stato condannato".
Fra i misteri di Giuseppe e del fratello Filippo Graviano ci sono anche i due figli, nati mentre i boss erano rinchiusi al 41 bis. Il capomafia disconosce le parole pronunciate in carcere e intercettate nel processo "Stato-mafia": "Mia moglie non è mai entrata in carcere, nella cesta della biancheria. Forse, parlavo di mio fratello, che venne messo nella mia stessa cella". Una retromarcia clamorosa. "Non posso raccontare come andò, ci fu solo un momento di distrazione degli agenti - aggiunge - ma mia moglie non è mai entrata in carcere". Il pm contesta ancora le intercettazioni ("Io tremavo, lei era nella cesta delle robi"), il boss dice: "A cosa interessa una cosa mia personale in questo processo?" Lombardo dice: "Vuole che glielo spieghi? Secondo me, l'ha capito perché ho fatto questa domanda. Vorrei capire se un passo verso di lei venne fatto, con un attimo di distrazione, facendo entrare sua moglie". Graviano risponde: "La politica non c'entra in questa situazione, questa intercettazione non risponde alla realtà". E aggiunge: "Non racconterò mai a nessuno come ho concepito mio figlio, dico solo che non ho fatto nulla di illecito, ci sono riuscito ringraziando anche Dio e sono rimasto soddisfatto. Non ho chiesto alcuna autorizzazione, ma ho approfittato della distrazione degli agenti Gom".