"Indagini superficiali". Azione disciplinare contro la pm del caso dell'omicidio Vannini

L'iniziativa del ministro della Giustizia Bonafede. La pm sarà ascoltata nei prossimi giorni

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Il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede ha avviato un’azione disciplinare nei confronti del pm del caso dell’omicidio Marco Vannini. Lo scrive il Messaggero. La casa della Ladispoli dove il 17 maggio morì il ragazzo non fu mai sequestrata, non si cercarono tracce di sangue, i vicini non vennero interrogati: indagini superficiali, secondo il ministro, che avrebbero danneggiato i parenti della vittima e per le quali è adesso sotto accusa la pm Alessandra D’amore. 

Si legge sul Messaggero: 

In questi anni si è sempre discusso ad esempio sul fatto che la villa di Ciontoli non fu mai posta sotto sequestro. Non venne neanche adoperato il luminol dai carabinieri di Civitavecchia e Ladispoli, strumento utile per evidenziare la presenza o meno di tracce ematiche sulla scena del crimine, in questo caso il bagno. Come ribadito più volte da Luciano Garofano, ex generale dei Ris e consulente tecnico della famiglia Vannini, non gli fu concesso di entrare nella villetta di via Alcide De Gasperi per effettuare dei rilievi. Inoltre i carabinieri non sentirono nemmeno tutti i vicini di casa Ciontoli. Interrogativi sempre sollevati dai genitori di Marco Vannini. 

Antonio Ciontoli - padre della fidanzata della vittima  e sottoufficiale della Marina militare con un ruolo nei servizi segreti - è stato riconosciuto colpevole dell’omicidio. Di fronte alla Corte d’Assise il pm chiese una condanna a 21 anni per omicidio volontario con dolo eventuale per Antonio Ciontoli e a 14 per il resto della famiglia, la moglie Maria Pezzillo e i figli Martina e Federico, più 2 per Viola Giorgini, fidanzata del figlio di Ciontoli presente al momento dell’omicidio, contestandole il reato di omissione di soccorso. Viola è stata assolta in primo grado, Ciontoli condannato a 14 anni (poi ridotti a 5 in secondo grado, con il reato derubricato in omicidio colposo) e il resto dei familiari a 2. La Cassazione ha deciso di rimandare tutto in appello. 

Bonafede già lo scorso maggio spedì gli ispettori ministeriali presso la procura civitavecchiese. Qualche mese prima invece contestò platealmente il presidente della Corte d’assise d’appello, Andrea Calabria. Alla lettura della sentenza, il 29 gennaio 2019, Marina Conte, madre della vittima, protestò per la pena ridotta all’ex 007 e come risposta il giudice le intimò di smettere onde evitare di «farsi una passeggiata a Perugia» ed essere denunciata di conseguenza per oltraggio alla Corte. Bonafede definì «inaccettabili» le parole del togato, dichiarando anche di aver attivato i suoi uffici per «tutte le verifiche e gli accertamenti del caso». Il pm sotto i riflettori del ministro avrebbe già chiesto di essere ascoltato da chi di competenza, incontro che potrebbe avvenire in questi giorni. Gli ermellini di fatto lo scorso 7 febbraio hanno comunque dato ragione all’impianto accusatorio formulato da Alessandra D’Amore.