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Prescrizione: Conte, Renzi e la crisi di Schrödinger

Dopo una giornata di polemiche e “penultimatum” tra Renzi, Zingaretti e Conte, il Consiglio dei ministri vara la riforma del processo penale senza la presenza dei ministri di Italia Viva e inserendo le contestate norme sulla prescrizione. Una scelta che non sana la frattura interna alla maggioranza, ma allo stesso tempo allontana la crisi vera e propria. Vediamo perché.

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Tuoni, fulmini e saette ma alla fine niente pioggia. Con il  cielo che resta nuvoloso. In sintesi, è questa la fotografia di una giornata complicatissima per la maggioranza, al termine della quale il Consiglio dei ministri ha varato la riforma del processo penale caldeggiata dal ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, inserendo anche la controversa norma sulla prescrizione, quel “lodo Conte bis” che i renziani hanno già fatto sapere di non aver intenzione di votare e che è da giorni oggetto di una veemente polemica con PD, Movimento 5 Stelle e LeU. Una riforma varata senza la presenza delle due ministre di Italia Viva, assenti su indicazione del partito.

Crisi aperta, dunque? Non proprio. Perché la formula scelta per varare la riforma, il disegno di legge (che garantisce tempi più lunghi e una discussione più articolata in Parlamento), è allo stesso tempo un segnale di apertura o quantomeno della volontà di non ampliare la frattura con Renzi. Che resta, ampia e profonda. La posizione più netta è proprio quella del Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, che usa parola chiare durante la conferenza stampa post Consiglio dei ministri: “Si minaccia la crisi di governo e poi si accusa gli altri di fare ricatti. Si dice che non si vuole la crisi di governo e poi si vota quotidianamente con l’opposizione. Si dice che si vuole andare avanti ma non ci si rende disponibili a correre insieme. E addirittura si minaccia la sfiducia di un ministro che addirittura è il capo delegazione della forza di maggioranza relativa. Se Italia Viva presenterà la mozione di sfiducia io ne trarrò le conseguenze. Non possiamo prendere in giro gli italiani”.

Una posizione che può voler dire essenzialmente due cose. O Conte crede che Renzi stia bluffando, che non abbia la voglia ma soprattutto la forza di andare fino in fondo e che stia semplicemente facendo una battaglia di rappresentanza. Oppure il Presidente del Consiglio ha in mano il piano B, ovvero la certezza che il governo non rischi, che ci sia insomma in Parlamento una maggioranza alternativa, nelle forme di una pattuglia di “responsabili” pronta a rimpiazzare quei (quanti?) parlamentari che sceglieranno di seguire Renzi fino alla fine. In tale contesto, oltre al fatto che non vi è la possibilità di un ritorno alle urne a strettissimo giro (con il referendum costituzionale alle porte), pesa anche la posizione del Capo dello Stato, vicinissimo al Presidente del Consiglio e notoriamente in rapporti non idilliaci con il leader di Italia Viva.

Insomma, Conte si sente in una posizione di forza e non ha paura di andare a vedere le carte di Renzi. Il quale, a sua volta, non ritiene affatto di essere uscito sconfitto dalla scaramuccia sulla prescrizione. In primo luogo perché Italia Viva ha evitato che il lodo Conte bis finisse nel Milleproroghe (del resto, sarebbe stato un obbrobrio giuridico), mantenendo una certa coerenza sul punto specifico (no alla Bonafede nella scorsa legislatura e lodo Annibali per il ripristino della Orlando). La formula del disegno di legge, infatti, non solo allunga i tempi della resa dei conti, ma sancisce anche lo spostamento sul versante parlamentare dell'intera discussione, alleggerendo la pressione sul governo e, soprattutto, sui ministri di Italia Viva. In secondo luogo, Renzi ha nuovamente ribadito la propria distanza rispetto all'asse PD-M5s, certo scegliendo un tema controverso e divisivo (basti vedere la distanza fra le posizioni di avvocati e magistrati), per giunta non esattamente prioritario per l'opinione pubblica. Si è spinto, ancora, a un centimetro dalla crisi, rimarcando una centralità sproporzionata rispetto al 4% di cui lo accreditano i sondaggisti.

È opinione comune che questo governo sia nato strutturalmente debole e politicamente inconsistente, frutto di una maggioranza distante per storia, programmi e intenzioni. Qualche mese fa Renzi, in minoranza nel PD e ai margini del quadro politico, aveva spinto Zingaretti e Di Maio a fare un accordo che nessuno dei due voleva, per dar vita a un governo debole e una maggioranza ballerina, in modo tale da essere nuovamente determinante e al centro della scena, contando sulla "inevitabile litigiosità" di un accrocchio del genere. Un contesto nel quale le crisi continue e costanti sarebbero state un elemento costitutivo della maggioranza. Nelle ultime settimane, però, si sta rafforzando l'asse PD – M5s intorno alla figura del Presidente del Consiglio, anche "grazie" alla debolezza grillina e al clima di pacificazione che si respira in casa democratica. Mentre il battitore libero Renzi è ancor più isolato. E rischia di trovarsi costretto a ripetere lo schema dei penultimatum e delle minacce in eterno.

Ecco, fin quando il giochetto durerà non è dato sapere. Anche perché, nel frattempo, ci sarebbe un Paese da governare.